Motorpsycho sono tra quelle band di cui è difficile parlare male, o definirsi delusi dopo l’ascolto di un loro disco, dato che, di base, è difficile dire cosa aspettarsi, in termini musicali, da una loro nuova uscita.
Da questo punto di vista, pur trattandosi di un disco agli antipodi dal precedente “Ancient Astronauts”, valgono alcune considerazioni espresso proprio in quella recensione: il duo– sì, perché nel frattempo sono rimasti nuovamente i soli Bent e Hans a reggere il vessillo – riesce sempre ad essere se stesso, eppure a colpire.
Un disco praticamente acustico dal primo all’ultimo minuto, fatto di tanta, tantissima melodia; e che nella testa dei due genietti psycho/progressive rock norvegesi è il contraltare radiofonico degli ultimi, intensi e mastodontici dischi.
Dieci brani sono molto essenziali nei quali si nota sempre una ricerca che non è certo l’approccio delle band da masticare e dimenticare dopo due settimane di successo in classifica. Le chitarre sono delicate, quasi “cantautoriali” in molti passaggi, ma stratificate e intense; e i frequenti inserti di tastiere, tappeti di synth, glockenspiel etc. donano un tocco che riporta, come sempre, agli anni Sessanta e Settanta: in particolare a certe soluzioni della scena Canterbury e a quelle band che hanno in qualche modo sedato la strabordanza prog pura a favore di atmosfere bucoliche e trasognate.
A cura di Paolo Fassino- SpazioMusica, Aosta