Politica | 12 gennaio 2024, 11:37

'Rimuovere dalla coscienza il fenomeno mafioso serve solo a rafforzarlo'

'Rimuovere dalla coscienza il fenomeno mafioso serve solo a rafforzarlo'

 

Dai primi anni Ottanta fino al 1993 le guerre di mafia insanguinarono a tal punto la Sicilia, portando gli omicidi a evento quotidiano, che un giorno mentre una coppia parlava, nel giardino di casa, di una nota attrice morta il giorno prima (di malattia), la figlioletta di 5 anni smise di giocare e chiese: "E chi l'ha uccisa?". 

Quei giorni così tragici, solo apparentemente lontani ma invece così ancora socialmente e politicamente attuali, sono stati ricordati mercoledì scorso a Palazzo regionale dal professor Nando dalla Chiesa, uno dei massimi esperti italiani in tema di criminalità organizzata e figlio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa trucidato dalla mafia il 3 settembre 1982 assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro.

L'incontro pubblico 'Educazione alla legalità: dai Giovani ambasciatori alla comunità', è stato organizzato a conclusione del corso di formazione 'Giovani ambasciatori della legalità', realizzato a inizio dicembre dall'Osservatorio regionale antimafia, istituito presso il Consiglio Valle, in collaborazione con il Dipartimento di scienze economiche e politiche dell'Università della Valle d'Aosta. Al termine della serata sono stati consegnati ai 18 partecipanti gli attestati di 'giovane ambasciatrice' e 'giovane ambasciatore' della legalità.

Aperto dal Presidente del Consiglio Valle, Alberto Bertin e dalla Rettrice dell'Università della Valle d'Aosta, Manuela Ceretta - moderato da Claudio Forleo, giornalista e componente del Comitato tecnico dell'Osservatorio regionale - l'incontro ha previsto anche una restituzione finale sul corso di formazione a cura dei Professori Paolo Gheda e Marco Alderighi dell'ateneo valdostano.

"L'educazione alla legalità necessità di un'informazione precisa e competente - ha sottolineato dalla Chiesa -. In passato, il nostro Paese ha scelto di raccontare il fenomeno mafioso, rimuovendolo. Una narrazione, vincente fino ai primi anni Ottanta, che teorizzava l'inesistenza di un'organizzazione mafiosa. Questa cultura acquiescente ha provocato una delle più grandi tragedie della storia del nostro Paese: l'offensiva di Cosa nostra contro lo Stato dal 1979 al 1993. L'educazione alla legalità, nata dopo l'omicidio di Piersanti Mattarella nel 1980, è una promessa di libertà per cui vale la pena battersi che è stata raccontata e spiegata da decine di migliaia di insegnanti, schierati contro la mafia". Ricordando la frase di un giovane palermitano, "non posso vivere in una città in cui ogni mese si mette una lapide nuova", Nando dalla Chiesa ha ribadito che l’Italia deve essere grata "agli insegnanti che all’inizio degli anni ’80 hanno deciso di intraprendere la strada della verità”, anche se “non sapevano cosa fosse la mafia” e si sono dovuti documentare con giornali, libri e anche film. Dunque "Il movimento antimafia è nato nella scuola e non nelle Università, dove sul tema regnava spesso lo stesso silenzio proferito dalle Istituzioni". 

Ma la frase che forse ha maggiormente colpito il professore fu detta da un altro studente e solo apparentemente può risultare contraddittoria: “L’educazione alla legalità è l’educazione al conflitto”. "E' verissimo - ha detto dalla Chiesa - perché con le mafie si deve combattere, è un conflitto continuo e  ci si ribella alla mafia gratis. Confliggere con un potere che spara non è uno scherzo, non vuol dire solo protestare ma impegnarsi nel concreto, lottare".

"Il corso che si è appena concluso in Valle d'Aosta - ha infine sottolineato il professore - è un'iniziativa istituzionale e seria a cui era giusto partecipare. Sono contento di essere qui oggi con il mio bagaglio di esperienza che non si limita all'università ma è lungo nel tempo e vasto nello spazio. Mi auguro che questo sia il primo di altri eventi di questo genere".

"La presenza delle mafie non è più un fenomeno relegato alle loro terre di origine: da nord a sud, riguarda tutti noi e va anche oltre i confini degli Stati - ha affermato Bertin -. In Valle d'Aosta la presenza della ndrangheta è un fatto ultradecennale che, di recente è stato accertato anche giudiziariamente con una sentenza definitiva. È un problema di tutti e ognuno di noi può e deve fare la sua piccola parte. In questo senso, i nostri neo ambasciatori rappresentano una risorsa importante per la comunità".

I 18 giovani ambasciatori della legalità sono: Elisabetta Anrò, Ana Antohin, Christel Berruti, Alice Bonato, Simone Bosonin, Ephrem Cossard, Paolo Dattola, Beatrice Del Col, Rebecca Di Stefano, Letizia Gagliardi, Luca Germanetti, Didier Jotaz, Erica Macrì, Carlo Umberto Ravagnani, Manuel Sciarroni, Beatrice Somaglia, Laura Talmet e Nicole Vallet.

 

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