Religio et Fides | 14 luglio 2024, 07:00

'La valigia dell’artista', 2019 - John Welsh

Lettura d'arte domenicale a cura di don Paolo Quattrone

'La valigia dell’artista', 2019 - John Welsh

 

 

Per molti, anche se non per tutti, è tempo di vacanze e quando ci si appresta a partire per una destinazione si preparano i bagagli e occorre dedicare del tempo per decidere cosa portare e cosa no a seconda della località, del clima e delle attività che desideriamo svolgere.

Solitamente la tendenza è quella di portare più del dovuto, invece è buona cosa imparare a essere misurati; quante volte certi capi d’abbigliamento viaggiano soltanto senza mai essere utilizzati. Una certa accortezza è a maggior ragione indispensabile quando il bagaglio è uno zaino da portare in spalla; penso a chi compie un cammino per Santiago o sulla via Francigena e deve imparare a limitarsi a portare poche cose per evitare pesi inutili. Nel brano di Vangelo Gesù, inviando gli apostoli a predicare, consiglia loro di portare lo stretto necessario: ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. Credo che questo consiglio lo abbia dato per aiutarli a non perdere di vista l’essenziale, ciò che conta è che portino nel cuore la fede in Dio, tutto il resto è un 'di più'.

'La valigia dell’artista' (2019) è un dipinto del pittore contemporaneo inglese John Welsh, il cui lavoro è ispirato dai numerosi viaggi che ha compiuto e in particolare dai luoghi e dalle persone incontrate. L’opera ci presenta una valigia con le serrature aperte; visto il titolo presumiamo che contenga gli strumenti per dipingere anche perché in primo piano vi sono dei colori. Ciò che colpisce è il bicchiere di birra lasciato in equilibrio precario ed è forse lì a suggerirci che l’esistenza è precaria e si gioca su un equilibrio dove dobbiamo decidere cosa tenere e cosa no. In un bicchiere ci può stare solo una certa quantità di acqua e non di più, altrimenti fuoriuscirebbe; lo stesso vale per una valigia, per quanto si possa sistemare bene gli indumenti e li si possano anche schiacciare c’è pur sempre un limite.

Chissà perché lo stesso ragionamento non lo facciamo con il tempo: spesso impostiamo le giornate come se fossero di 40 ore e non di 24 e in più a sera arriviamo nervosi, stanchi e delusi perché non siamo riusciti a fare tutto quello che avevamo messo in programma, forse abbiamo esagerato e preteso di fare più cose nel tempo che avevamo a disposizione. La valigia del dipinto è posata su un tavolo, è quasi aperta, a suggerirci che siamo liberi di decidere cosa introdurvi ma occorre scegliere ed è proprio una delle cose che difficilmente riusciamo a fare per diversi fattori: perchè animati da sensi di colpa, dal delirio di onnipotenza o perché abbiamo perso di vista le priorità.

Se parti per il mare non ti porti la sciarpa e se vai in montagna non prendi le pinne e così dobbiamo ogni tanto darci del tempo per fermarci e per chiederci cosa è importante tenere e cosa no, cosa è prioritario e cosa non lo è e poco per volta avvertiremo che la nostra valigia, che tutti dobbiamo portare, non sarà mostruosamente pesante, il peso dello zaino non ci distruggerà le spalle ma sarà un compagno di viaggio sopportabile.

Indipendentemente che si vada in vacanza o meno, tutti possiamo fermarci un momento a riflettere anche stando a casa nostra, mettendoci davanti a Dio per aprire la nostra valigia e guardarvi dentro per chiederci sul serio cosa tenere e cosa no e per capirlo dobbiamo chiederci cos’è davvero prioritario per noi stessi, in campo famigliare, lavorativo, relazionale, in base a quelle che sono le nostre responsabilità, il nostro stato di vita e le persone che fanno parte della nostra esistenza. Se qualcuno mette le proprie cose in valigia e va di fretta, lo fa alla rinfusa, senza pensare e decidere, finisce che per chiuderla deve saltarci sopra, se invece si fanno le cose con ordine, decidendo cosa metterci, la valigia non sarà caotica e sovraccarica; bisogna procedere con metodo, pensare cosa mettere e cosa no, iniziando da ciò che è prioritario per poi passare a ciò che è secondario e così via, accettando che qualcosa dovrà essere lasciata fuori perché non c’è più spazio.   

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone