Religio et Fides | 28 luglio 2024, 07:00

'Gesù e il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci', 1909-Gebhard Fugel

Lettura d'arte domenicale a cura di don Paolo Quattrone

'Gesù e il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci', 1909-Gebhard Fugel

Quando tra amici o in famiglia si organizza un pranzo o una cena e si decide che ognuno porta qualcosa, ogni invitato cucina una pietanza e magari anche più d’una per paura che non basti, ognuno insomma fa la sua parte e alla fine ce n’è in abbondanza per tutti. 

Qualcosa di simile accade nella prima lettura e nel Vangelo dove qualcuno mette a disposizione del cibo credendo che sia poco e invece è sufficiente a sfamare tanta gente. Guardando in particolare al brano di Giovanni vediamo che i discepoli sono in difficoltà, una gran folla sta seguendo Gesù ed è ora di mangiare ma non c’è cibo. Allora Andrea individua un ragazzo che possiede cinque pani d’orzo e due pesci ma allo stesso tempo l’apostolo si chiede: “ma che cos’è questo per tanta gente?”.

Quante volte ci accade di aver a che fare con problematiche e situazioni complicate oppure vorremmo proporre qualche cambiamento o progetto e tendenzialmente ci viene da pensare: “Cosa vuoi che possa farci io!”. Quante volte qualcuno ci chiede di metterci in gioco e diciamo: “non sono capace!”. Quante volte vediamo che ci sarebbe da intervenire in una circostanza, da dare una mano e preferiamo invece voltarci e far finta di non vedere, trincerandoci dietro l’alibi che non siamo in grado di farcela o che non è compito nostro e che dunque ci pensi qualcun altro. Quante volte non sappiamo accorgerci delle risorse umane di chi abbiamo accanto perché le sottostimiamo, perché quella persona non è come vorremmo e di conseguenza non riusciamo ad accorgerci che possiede di certo qualcosa di buono. Troppo spesso sottostimiamo noi stessi o gli altri. Ricordiamoci bene che questa è opera del demonio, il quale sa agire in modo subdolo pur di rovinare la nostra vita e quella altrui e sovente lo fa non spingendoci a scegliere il male bensì invitandoci a non fare nulla, a non compiere quel bene che potremmo fare. Molte volte sento pronunciare, anche con un certo vanto quasi fosse una grande filosofia di vita. questo slogan: “l’importante è non fare del male!”. Eh, la vita non funziona così, Non abbiamo il dono dell’esistenza solo per schivare ciò che è sbagliato bensì anche per fare la nostra parte e giocare i nostri talenti.

Come il demonio ci spinge a non compiere il bene? Alimentando innanzitutto la sfiducia in noi stessi e facendoci credere di non valere nulla, che non possediamo alcuna capacità o qualità o se la intravediamo pensiamo che non sia sufficiente; facendoci cadere nell’omissione che consiste nel lavarcene le mani aspettando che siano altri a intervenire o a impegnarsi. Ognuno invece deve svolgere la sua parte, senza il timore di mettersi in campo, utilizzando quei pochi o tanti pani e pesci che possiede e possibilmente con l’umiltà di affidare il proprio agire anche a Dio, come se gli dicessimo: “io porto e metto i miei ingredienti il resto poi cucinalo Tu”.

E’ indispensabile però che portiamo anche noi qualcosa, il Signore ne ha bisogno; immaginiamocelo come uno chef che organizza tutto il lavoro della cucina ma ha assolutamente bisogno del sous chef e dei vari componenti che preparino la carne, il pesce, le verdure, le salse e i dolci.

Ritagliamoci un momento questa settimana per chiederci: io cos’ho da portare in famiglia, là dove lavoro o in quel gruppo? Non importa se è dolce o salato, se è un antipasto o un secondo ma porta ciò che hai da dare, ciò che sai fare, senza timore, senza preoccuparti del giudizio altrui, senza trovare la scusa che se anche tu non prepari nulla ci sarà comunque qualcosa da mangiare.

E’ quanto evoca il dipinto del pittore tedesco Gebhard Fugel (1863-1939) che, sulla scia del movimento nazareno tedesco che mirava a riportare i temi della spiritualità nell’arte, farà dei temi cristiani i suoi soggetti prediletti come nel caso dell’opera che si ispira all’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci dove si vede il giovane ragazzo che, accompagnato da un apostolo, presenta a Gesù il suo piccolo cesto contenente quel poco che possedeva. Ma quel poco è tanto perché basta poco per cambiare noi stessi e la realtà nella quale viviamo: dobbiamo soltanto credere un po’ più in noi ed essere convinti che Dio saprà fare molto con quel poco che gli offriamo.   

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it