Domenica scorsa si è parlato di pani e di pesci, del fatto che ciascuno è chiamato a offrire qualcosa di sé da mettere sulla tavola della Chiesa e della società per contribuire a diffondere la fede e il bene, non importa se tanto o poco ma ciò che conta è dare la nostra parte. Possediamo tutti del cibo cioè delle risorse personali da offrire e condividere ma non dimentichiamoci che anche Dio ama portare qualcosa a tavola infatti non arriva mai a mani vuote.
Sottolineo questa frase di Gesù che troviamo nel brano di Vangelo: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”.
E’ fondamentale credere in noi stessi, non sottostimarci, non cadere nel tranello del demonio che ci illude che non abbiamo nulla di buono e di prezioso da offrire al mondo ma allo stesso tempo è importante credere anche in Dio, collaborare con Lui, ricordarci che non bastiamo a noi stessi, che non è sufficiente la nostra razionalità, il progresso, la tecnica e i beni che possediamo ma occorre qualcosa di più, anzi Qualcuno. Spesso rischiamo di leggere la realtà solo per estremi: o è tutto bianco o è tutto nero, o la fede oppure la ragione come se le due cose non potessero convivere, o credo in me oppure devo aggrapparmi a qualcuno per reggere. Questo ragionare è immaturo e ingenuo e il Vangelo sembra proprio ricordarci che dobbiamo imparare a non tenere lo sguardo rivolto esclusivamente verso il basso ma anche in alto. Spesso associamo Dio al cielo come se abitasse lì. In realtà è un’immagine per evocare che la sua realtà supera di gran lunga la nostra, non è riducibile a ciò che vediamo qui sulla terra; così come il cielo è vasto e infinito anche Dio possiamo coglierlo ma non rinchiuderlo perché immensamente sconfinato così com’è il suo amore per noi. Gesù annuncia alla gente che aveva assistito alla moltiplicazione dei pani e dei pesci che c’è di più, che esiste un pane del cielo, un cibo che supera ogni pietanza terrena per quanto possa essere gradevole al palato e nutriente per il corpo. Il pane del cielo è Cristo al quale dobbiamo imparare a credere per non rischiare di restare appiattiti sulle realtà terrene. Tornando all’immagine utilizzata in apertura, ognuno di noi è chiamato a portare alla tavola dell’umanità il proprio cibo, le proprie risorse umane che sono preziose ma non dimentichiamo di invitare a tavola anche Gesù e sulla scia di questa riflessione vi propongo di posare lo sguardo su un’opera stupenda, L’ultima cena realizzata da Leonardo Da Vinci (1494-1498) nel refettorio del convento domenicano di santa Maria delle Grazie di Milano.
Si potrebbe dire tanto su quest’opera, si è detto di tutto nel corso dei secoli, anche scempiaggini ma mi limito ad alcuni aspetti essenziali: innanzitutto non si tratta di un affresco bensì di un dipinto murale in quanto l’artista volle esperimentare una nuova tecnica che gli consentisse di dare più luminosità ai colori però si dimostrò fallimentare fin da subito in quanto l’opera iniziò a presentare seri problemi di tenuta e di conservazione a tal punto che dovette subire ben presto interventi di restauro e se ne susseguirono numerosi negli anni fino a quello più importante durato dal 1982 al 1999 sotto la regia della restauratrice italiana Pinin Brambilla che ebbi la fortuna di ascoltare e di conoscere durante una lezione che tenne a Brera proprio sul lavoro svolto per l’ultima cena. L’opera fu l’occasione per Leonardo per dar corpo ai suoi studi sulla luce, il movimento, il corpo e le emozioni che lui chiamava “moti dell’animo” immaginandosi le reazioni degli apostoli nell’istante in cui Gesù dice: “Uno di voi mi tradirà”. Ciò che colpisce è che mentre tutti i discepoli sono in agitazione l’unica figura ferma, tranquilla e che emette pace è Gesù al centro. Se togliessimo Cristo da quel dipinto avremmo della gente agitata e basta.
Molte volte pensiamo di poter contare solo su noi stessi anche agitandoci e inquietandoci perché, seppur non lo ammettiamo facilmente, capiamo che non bastiamo a noi stessi. Forse dovremmo invitare alla tavola della nostra esistenza anche Dio, non ci toglie nulla anzi ci porta la sua presenza, la sua pace, quel cibo, quel pane del cielo che solo Lui sa cucinare e che è in grado di nutrire la nostra anima.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.