Religio et Fides | 15 settembre 2024, 06:00

Gian Lorenzo Bernini, Colonnato di piazza san Pietro - 1658-1667

Lettura d'arte a cura di don Paolo Quattrone

Gian Lorenzo Bernini, Colonnato di piazza san Pietro - 1658-1667

“La gente, chi dice che io sia?”, è la domanda che Gesù rivolge ai discepoli. Se questo interrogativo lo indirizzassimo a noi stessi cosa diremmo? Cosa dico di me aldilà di ciò che gli altri possono pensare? Mi spingo oltre: io sono contento della mia vita e di quello che sono? Dare una risposta definitiva è difficile, vi sono momenti di contentezza e altri meno ma non dipende dagli altri o da congiunture astronomiche ma da noi, da come guardiamo e affrontiamo l’esistenza. Gesù dal Vangelo ci suggerisce come essere contenti: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà”.

Sei scontento? Apriti, esci da te stesso/a! In concreto vuol dire essere aperti alla propria vocazione: sei sposato, sei genitore, sei medico, sei prete… vivi fino in fondo ciò che sei che non vuol dire essere perfetti e tanto meno frenetici, non a caso pur riempiendo le giornate di mille impegni siamo scontenti. Si tratta di assaporare ciò che siamo e che facciamo. Parlando con le persone avverto spesso scontentezza e inquietudine. Credo che in parte dipenda dal fatto che non viviamo l’essenza di ciò che siamo, perdiamo di vista la bellezza e la priorità delle nostre scelte e questo può condurci a pensare di aver sbagliato a sposarsi, ad avere dei figli, a intraprendere un determinato percorso; è difficile sbagliare strada ma è molto più facile non viverla davvero. 

Aprirci è accogliere le persone per ciò che sono e non per ciò che vorremmo. Si è scontenti quando desideriamo un partner, un figlio, un parroco, dei parrocchiani, degli alunni o dei genitori diversi. Uscire da se stessi è saper  ringraziare ogni giorno per non guardare solo a ciò che non possiedo o che non ho fatto. Per essere contenti occorre essere aperti alla realtà di ciò che siamo, non esiste padre, madre o prete ideale, ci sei tu che vivi la tua vocazione per ciò che sei, in modo unico e irripetibile e tanto più non si tratta di diventare come vorrebbero gli altri.

Perdere la vita non è buttarla bensì è non vivere prigionieri dell’orgoglio per scoprire che prendersi cura di qualcosa e di qualcuno crea gioia. Si è scontenti quando ci si illude di salvarsi da soli mentre si tratta di scoprire che nella vita abbiamo bisogno degli altri e di Dio ed è proprio a Lui che volgiamo ora lo sguardo. Ci siamo domandati cosa pensiamo di noi stessi, della nostra esistenza. Se siamo contenti ora chiediamoci: io cosa penso di Dio? Questo interrogativo è legato alla nostra contentezza; infatti sovente siamo inquieti e ansiosi perché pensiamo di poter controllare la realtà da soli e di farcela ad affrontare l’esistenza contando solo su noi stessi. Siamo scontenti quando ci dimentichiamo di Dio e così facendo pensiamo di essere soli, di dovercela cavare con le nostre forze mentre volgere lo sguardo verso il Signore ci aiuta ad avere occhi diversi su noi stessi.

A fine agosto, insieme a un giovane di 23 anni che conosco da tempo, abbiamo percorso i 300 km di cammino lungo il litorale portoghese e spagnolo che da Porto conduce a Santiago. Ogni giorno camminando trovavamo uno spazio per leggere il Vangelo e scambiarci le impressioni. In uno di questi momenti lui ha usato questa espressione: “Dio non è quadrato!”.

Nell'immediato ci ha fatto ridere ma riflettendoci ho trovato questa affermazione di una verità sorprendente. Dio non è quadrato ma è tondo! Il cerchio è costituito da infiniti punti perciò si può arrivare a Lui da infinite strade e non vi sono spigoli perché accoglie tutti. La scontentezza nasce anche da un’errata idea di Dio, quando lo scambiamo per un giudice, un burocrate o un’illusione per ingenui. “Ma voi, chi dite che io sia?”, Gesù è Dio che ci è venuto incontro e lo fa ancora oggi per abbracciarci. Sta a noi decidere se accogliere o meno questo abbraccio. E’ questa l’idea che ha ispirato Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) nel progettare lo splendido colonnato di piazza san Pietro costituito da 284 colonne semicircolari alte 16 metri che abbracciano chiunque entri nella piazza.

L’artista stesso scrisse: “La chiesa di S. Pietro, quasi matrice di tutte le altre doveva haver’ un portico che per l’appunto dimostrasse di ricever à braccia aperte maternamente i cattolici per confermarli nella credenza, gl’heretici per riunirli alla Chiesa, e gl’onfedeli per illuminarli alla vera fede”. Dio non è quadrato e anche noi dovremmo imparare da Lui perché essere spigolosi non ci rende persone contente. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it