Quante volte ci indigniamo alla vista di immagini di guerra, anche se a dire il vero c’è il serio rischio di abituarci; a volte ripenso alla concitazione che si respirava nelle prime settimane dallo scoppio della guerra in Ucraina, tutti si sentivano in dovere di fare qualcosa, di pregare, di raccogliere cibo, indumenti. Dove sono finite quell’apprensione e agitazione iniziali? Come accade sovente siamo molto bravi a farci trasportare dall’ondata delle emozioni ma come tutte le onde in breve si esauriscono.
C’è poi il pericolo di assuefarci alle guerre almeno finchè non ci riguardano nel concreto, finchè sono distanti e non ci toccano nel portafoglio e nel frigo, ci scandalizziamo e però poi voltiamo velocemente le spalle. Il Papa quasi ogni giorno invoca la pace, esorta i potenti a trovare vie di dialogo e lo fa con tanta insistenza perché si rende conto che mai come oggi c’è il rischio che le numerose guerre degenerino (se ne contano ben 56, il numero più alto mai registrato dalla fine della seconda guerra mondiale) ma è sempre più inascoltato. Da dove si genera tanto odio? San Giacomo dalla seconda lettura risponde senza giri di parole: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!”.
I conflitti in famiglia, sul lavoro, nella società, nella Chiesa, tra le nazioni non dipendono dal fatto che Dio non svolga il suo lavoro ma da noi che decidiamo di gestire l’esistenza a nostro piacimento, in totale ascolto di noi stessi con tutto ciò che comporta. In ogni epoca storica ci sono stati conflitti, anche quando Gesù si è fatto uomo, ma il numero sempre più crescente ci suggerisce che c’è qualcosa che non và dentro di noi, le ostilità che vediamo in tv sono riflesso di ciò che c’è in ciascuno di noi e nessuno si tiri fuori!
E’ quanto evoca con brutalità l’opera di Salvador Dalì (1904-1989),' Il volto della guerra' del 1940, conservata presso il Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Dopo aver vissuto la guerra civile spagnola e quasi a prevedere la tragedia della seconda guerra mondiale Dalì, pur essendo un esponente di spicco del surrealismo, rivela con quel dipinto la dura e cruda realtà e verità: il male non nasce chissà dove ma prende vita dall’uomo, da tutte le scelte di morte che coltiviamo nel piccolo e che sono evocate con intensità dalle serpi e dai teschi che si affacciano dal volto. Ciò che vediamo fuori è sintomo di ciò che ci abita dentro, denuncia che stiamo andando troppo dietro al nostro io, al desiderio di possedere, di prevalere, interpretando la vita come una gara dove l’altro è spesso visto come un avversario.
Siamo un po’ tutti in trincea e questo lo si percepisce sul lavoro, per strada, nelle famiglie dove ci si fa la guerra per pochi metri di terreno. Il Vangelo ci ricorda che anche nella Chiesa, fin dalle origini, c’è il rischio di rivalità, di carrierismo, di personalismi. Gesù infatti sorprende gli apostoli a misurarsi su chi debba ricoprire le cariche più in vista e questo accade ancora oggi dove negli ambienti ecclesiali ci si ignora o peggio ci si fa la guerra tra gruppi e fazioni e nonostante si parli tanto di relazioni e si facciano sinodi e conciliaboli ognuno va per la sua strada.
Da sempre l’uomo porta dentro di sè conflitti che si manifestano nelle relazioni ad ogni livello ma non guardiamo al passato bensì all’oggi nel quale viviamo e perciò occorre che ognuno si chieda: io come sto? Cosa non funziona in me? Quali conflitti mi porto dentro? Dove sto creano e alimentando tensioni e con chi? In cosa sto coltivando l’egoismo? Cosa mi rende spigoloso con gli altri? Gesù rompe la discussione dei Dodici con parole che ribaltano del tutto la prospettiva: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
I conflitti iniziano quando mettiamo noi stessi al primo posto e aggiungo, tanto più quando escludiamo Dio (pur ritenendoci credenti) e il suo insegnamento e di conseguenza l’io diventa un gigante pronto a ingoiare tutto e tutti pur di accrescere.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.