Spesso cadiamo in un inganno: credere che per essere felici si debbano trattenere e accumulare beni, che sia importante crearsi un’immagine di prestigio e di potere, che si debba pensare innanzitutto a noi stessi e poi se avanza del tempo anche agli altri. Accostando la prima lettura al brano di Vangelo troviamo in entrambi i testi due vedove che, nonostante in quel contesto storico appartenessero alla categoria più povera (una donna che aveva perso il marito con esso avevo perso ogni forma di sussistenza), donano con generosità quel poco che hanno. In particolare vi invito a guardare alla vedova di Sarepta che accoglie in casa il profeta Elia offrendogli tutto ciò che possedeva in dispensa seppur con un po' di timore poiché significava restare senza cibo per lei e per il figlio. L’uomo di Dio perà la rassicura: “Non temere; va' a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d'Israele: la farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra".
Chi dona non perde nulla anzi guadagna, chi dona non impoverisce bensì arricchisce. Non sempre questo pensiero viene spontaneo e non sempre è facile tradurlo in pratica per diversi motivi. Vediamo che la vita scorre e ci illudiamo che trattenendo beni materiali, tempo, risorse e potere, l’esistenza scorra meno, e quindi sia sotto il nostro controllo. Al contrario il tempo continua il suo corso inesorabile. Inoltre il nostro io si fa sempre sentire e chiede di essere messo al primo posto illudendoci di fare cosa buona.Infine avvertiamo che la vita è preziosa e crediamo che per conservarla vada messa in cassaforte costruendoci una fortezza e chiudendoci in noi stessi, esattamente come l’errore che compiono scribi e farisei e che Gesù rimprovera con forza perché avevano ridotto la religione a un rifugio per coltivare i loro interessi, per costruirsi onori, prestigio, apparenza e privilegi perdendo di vista il vero senso del professare una fede. Gesù mette in guardia la gente del suo tempo da questo serio pericolo; il brano di Vangelo inizia con queste parole: “Guardatevi dagli scribi…” cioè state attenti a non fare la fine di quella gente, a non trasformare la religione in un rifugio, in un luogo chiuso per coltivare se stessi dimenticando Dio e gli altri. Il richiamo vale anche per noi: se davvero ci riteniamo cristiani allora dobbiamo prendere come esempio Cristo che ha saputo donare la sua vita, che ci ha insegnato che credere in Dio deve sospingerci a uscire per donarci, per mettere in gioco quei talenti che Lui stesso ci ha dato. Non è un caso che poco prima del brano di Vangelo proposto per questa XXXII domenica del tempo ordinario vi sia quello che abbiamo letto la settimana scorsa dove Gesù invitava ad amare Dio, il prossimo e noi stessi.
La fede ha senso se entra nella logica e nel circolo dell’amore altrimenti diventa stantia, asfittica, settaria e destinata a inaridirsi. Il frequentare Dio dovrebbe poco per volta aiutarci a ragionare in modo diverso, a guardare con altri occhi le persone e ciò che viviamo quotidianamente, dovrebbe farci entrare nell’ottica del dono scoprendo che la vita ha senso se la doniamo: Gesù ha fatto questa affermazione che troviamo in Matteo: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. (Mt 10,39).
Georges de La Tour (1593-1652) si può definire il Caravaggio francese in quanto le sue opere sono caratterizzate dal contrasto tra tenebre e luce, vita e morte, bene e male come nel caso della Maddalena penitente (1640-1645) conservata al Louvre. La donna fissa un lume acceso e sulle ginocchia ha un teschio, forse si sta chiedendo cosa fare della propria vita. La tradizione vuole che sia stata una prostituta prima di incontrare Cristo; in quel tempo era un mestiere al quale erano destinate le bambine abbandonate dai genitori. La Maddalena guarda quella luce, si chiede se restare nella tenebra o se essere luce donandosi in modo diverso al mondo. La vita di ognuno di noi è una candela, possiamo decidere se lasciarla spenta così non corre il rischio di consumarsi oppure se accenderla, spendendoci per qualcosa e qualcuno essendo un po' di luce nel piccolo pezzo di mondo nel quale viviamo.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.