Religio et Fides | 09 febbraio 2025, 07:00

'Vocazione di san Pietro e sant’Andrea'-1659; Luca Giordano (1634-1705)

Lettura d'arte domenicale a cura di don Paolo Quattrone

'Vocazione di san Pietro e sant’Andrea'-1659; Luca Giordano (1634-1705)

“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Sono parole che Pietro rivolge a Gesù subito dopo la pesca miracolosa; l’apostolo si rende conto di essere di fronte a qualcuno che ha a che fare con il divino. Infatti secondo il profeta Ezechiele l’abbondanza della pesca era segno della benedizione di Dio e così si sente piccolo, indegno e di conseguenza ritiene che il Maestro debba tenersi a distanza. Noi ci allontaniamo dal Signore per tre motivi: perché non ci riteniamo all’altezza, perché delusi oppure perché pensiamo che sia del tutto inutile credere in Lui. Mi soffermo sulla prima motivazione.

“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Peccatore è un termine che deriva dal latino peccare, ha come radice “peccus” che significa piede difettoso, peccare è mettere il piede in fallo, compiere un passo sbagliato. Tutti siamo peccatori ma dentro questa parola non ci sta una visione pessimistica dell’uomo bensì realistica. Tutti infatti possediamo delle qualità, potenzialità e positività ma allo stesso tempo abbiamo dei limiti, compiamo passi falsi, errori; cinque minuti prima diamo il meglio di noi e un attimo dopo il peggio.

Quando facciamo esperienza delle nostre pochezze quasi d’istinto ci viene da dire: “che persona pessima che sono” e se ci riteniamo credenti pensiamo che sia cosa buona allontanarci da Dio perché non siamo più degni di stare alla sua presenza, di pregare, di andare a Messa e di fare la comunione. Questo deriva da un’educazione distorta che abbiamo, chi meno chi più, ricevuto e respirato secondo la quale quando sbagli perdi di valore. Per Dio invece siamo preziosi sempre, sia quando diamo il meglio sia quando sbagliamo anzi quando inciampiamo nel peccato essendo questo un motivo in più per andare da Lui, per chiedergli di rialzarci e di donarci il suo perdono per scoprire che valiamo anche se abbiamo fatto qualche passo falso.

“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”, a queste parole di Pietro Gesù risponde così: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini” ossia gli fa capire che non deve aver paura delle sue debolezze perché Dio si fida di lui e di ciò che di bello può realizzare. Pietro, come deduciamo dai Vangeli, in diverse occasioni, mostrerà le sue fragilità ma non per questo il Maestro lo allontanerà o  sottrarà a lui l’incarico di apostolo e di primo Papa. L’evangelista non lo ma è bello immaginare che Gesù di fronte alla reazione di Pietro gli abbia detto: “Proprio perché sei peccatore avvicinati a me!”. E questo vale anche per noi. Proprio perché sappiamo che non sempre riusciamo ad amare, a essere coerenti, a preferire il bene al male, a dare il meglio di noi stessi, a usare bene il nostro tempo e le nostre capacità abbiamo delle buone e valide ragioni per accostarci a Dio e chiedergli la forza necessaria per mettere i nostri piedi sulla via del bene.

Ogni tanto in qualche colloquio mi capita di sentir dire: “Non prego più perché non sono una persona per bene; ho smesso di andare a Messa perché ho esperimentato la mia debolezza; non faccio la comunione perché non ne sono degno…” dovrebbe essere proprio il contrario! Prega, vai a Messa, fai la comunione perché hai bisogno di quell’energia per reggere alle sfide della vita e per sopperire ai tuoi limiti. E’ vero, ogni tanto è bene ricorrere alla confessione per fare un po' di ordine dentro di noi, per affidare a Dio i nostri peccati e i pesi più gravosi , questo non significa che per fare ogni volta la comunione devo confessarmi o pretendere di avere un cuore immacolato perché altrimenti nessuno potrebbe farla. Tra l’altro durante la Messa l’atto penitenziale che si svolge all’inizio è il momento giusto per mettere nelle mani di Dio le mancanze lievi.

E’ bene perciò riconoscere e ammettere i propri limiti ma non devo soffermarmi su di essi e commiserarmi, ritenendomi indegno, bensì devo andare dal Signore. Vocazione di san Pietro e sant’Andrea (1659) del pittore napoletano più importante del’600, Luca Giordano (1634-1705), esprime molto bene quanto detto finora. L’artista si distingueva per uno stile che richiamava al Caravaggio e alla pittura veneta. Celebre per la sua velocità nell’eseguire le opere, Ii dipinto ci mostra Pietro, con accanto in piedi suo fratello Andrea che si ritrae mentre il Maestro da lontano con la mano gli fa segno di seguirlo senza paura. E’ esattamente ciò che dice a noi Gesù ogni volta che ci sentiamo indegni e che vorremmo allontanarci da Lui: “proprio perché sei peccatore avvicinati a me!”. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.

Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.

E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it