Le parole che pronunciamo rivelano ciò che c’è nel cuore: è questo il tema che accomuna la prima lettura e il Vangelo. Nel brano tratto dal libro del Siracide leggiamo: “Il frutto dimostra come è coltivato l'albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini”.
Nel brano di Luca, Gesù fa questo esempio: “L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Le parole hanno un peso perché posseggono la capacità di fare del bene o del male ma anche perché rivelano ciò che c’è in noi perciò verificando il nostro linguaggio capiremo come siamo messi dentro. Come ci esprimiamo in casa? A volte tra le mura domestiche tendiamo a dare il peggio di noi non perché siamo cattivi ma per il fatto che nelle relazioni esterne ci tratteniamo e con i famigliari sbottiamo. Un conto è parlare con il proprio partner per confidarsi e sfogarsi, lo stesso vale per un figlio con un genitore, altro invece è riversare in famiglia le proprie tensioni.
Quando avvertiamo che stiamo esagerando è un segnale che rivela che probabilmente nel cuore e nella mente stiamo accumulato troppa inquietudine, sul lavoro stiamo ingoiando troppo, stiamo tirando la corda, c’è qualcosa che non va perciò occorre parlarne con qualcuno, confidarci e andare anche da Dio per affidargli ciò che ci tende. Inoltre, compiamo un esercizio prezioso: prima di varcare la soglia di casa lasciamo sullo zerbino le tensioni della giornata, le arrabbiature, le contrarietà, le rivedremo il giorno dopo e in famiglia invece portiamo la parte bella di noi che non vuol dire fingere ma ricordarci che la vita non è soltanto ciò che di negativo ci accade. Vi sono poi le parole stizzose che denotano nervosismo.
Penso alle imprecazioni quando siamo alla guida o in coda alla posta: queste nascono dal fatto che siamo troppo di fretta e dovremmo imparare invece a fare una cosa alla volta con calma, senza sovraccaricare le giornate. Occorre poi chiederci come siamo messi a bestemmie. Invocare il nome di Dio, della Madonna e dei santi per motivi futili è brutto da sentire e sciocco, rivela che cuore e mente sguazzano nel volgare e nella bruttura. Tempo fa un mio alunno mi ha detto: “Ho voglia di smettere di bestemmiare ma non so come fare!”. Si era reso conto che quel linguaggio lo imbruttiva; per smettere occorre individuare un buon motivo. Circa le parolacce a volte possono scappare, ma occorre essere viglianti e chiederci se le usiamo come condimento del nostro discorrere perché questo non fa bene a noi e nemmeno a chi ci ascolta. Può accadere di usarle per sembrare più moderni, più efficaci ma il più delle volte infastidiscono e inquinano gli animi.
C’è poi il mondo dei social dove, con la scusa di rifugiarsi dietro ad uno schermo, si riversano insulti, giudizi taglienti, parole pesanti con grande facilità buttando sulla piazza amarezze e rabbie interiori. C’è poi la moda in diversi ambiti, anche in quello politico, di spararle grosso e poi dopo qualche minuto smentire senza rendersi conto che ciò che si è detto ha prodotto degli effetti. Chiediamoci infine quali parole ascoltiamo, quale tipo di musica e di letture facciamo, se ci intratteniamo su canali che hanno solo lo scopo di alimentare paura e disprezzo, se siamo dediti al pettegolezzo. Sovente si sente affermare che contano soltanto i fatti e non le parole ma non è affatto vero perché ciò che si dice ha un peso, può creare bellezza o bruttura, ferire o consolare, generare paura o speranza.
L’artista statunitense Joseph Kosuth (1945) è uno dei massimi esponenti dell’arte concettuale dove più che la forma dell’opera ciò che conta è per l’appunto il concetto e l’idea che intende suscitare ed esprimere; il suo lavoro si è sempre concentrato sul ruolo del linguaggio, convinto che il miglior modo per scandagliare il mondo sia la parola che spesso presenta con scritte al neon che associamo alle insegne commerciali e che lui invece utilizza come strumento capace di veicolare idee e non prodotti. Come nel caso dell’opera Four Colours Four Words (quattro colori in quattro parole) del 1966 che ci può far compiere questa riflessione: le parole non solo hanno un peso ma anche una tinta che è in grado di colorare il mondo nel quale viviamo, di influenzare il nostro modo di guardare la realtà e che rivelano anche quali tonalità abitano dentro di noi.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.
E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.