Religio et Fides | 30 marzo 2025, 07:00

'Trenta monete d’argento', 1912- John Charles Dollman (1851-1934)

Lettura d'arte domenicale a cura di don Paolo Quattrone

'Trenta monete d’argento', 1912- John Charles Dollman (1851-1934)

Non si può non soffermarsi sulla splendida pagina di Luca nella quale Gesù racconta la parabola del padre misericordioso, un capolavoro che ci svela la vera identità di Dio ma allo stesso tempo la nostra. Il genitore rappresenta il Padre celeste che ama sempre anche quando ci allontaniamo e che considera sempre suoi figli. La prima riflessione da compiere è chiederci quale idea abbiamo di Dio, se lo consideriamo un padre del quale fidarci e al quale affidarci o un padrone dal quale fuggire o di cui aver paura. Gesù con questa parabola, insegnandoci la preghiera del Padre nostro, dissipa ogni dubbio. Avendo chiaro quale sia il vero volto di Dio ecco che comprendiamo anche chi siamo noi e ce lo rivelano le parole con le quali si apre la parabola: “Un uomo aveva due figli”.

Noi siamo figli del Padre e lo siamo sempre, qualsiasi cosa accada esattamente come ci viene raccontato quando il figlio minore torna a casa sperando di essere accolto almeno come servo o salariato e dice: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Il genitore fa portare i vestiti belli, i calzari e l’anello per ricordargli che lui è ancora suo figlio. La parabola potrebbe cominciare così: un uomo aveva due figli che non sapevano di essere tali: il minore infatti crede che il genitore sia un padrone dal quale tenersi alla larga per potersi sentire davvero libero, un ostacolo alla sua realizzazione ed  emancipazione…ma questo siamo noi, tutte le volte che ci convinciamo che credere in Dio tolga libertà e dignità, che la fede vada a ledere la nostra intelligenza, autonomia e intraprendenza e ci convinciamo che non ne abbiamo più bisogno perché la vita ce la costruiamo e gestiamo da noi stessi. E ancora: un uomo aveva due figli che non sapevano di essere tali: il maggiore infatti rimane sì a casa, non se ne va come il fratello ma vi resta da schiavo, con l’animo triste e sottomesso; rimane pensando che così il padre lo avrebbe amato di più, per dimostrare che lui è un bravo ragazzo migliore del fratello.

Ma questo siamo noi quando pratichiamo la fede, preghiamo e andiamo a Messa per illuderci di essere migliori degli altri convinti così di guadagnarci la stima e il favore divino senza comprendere che la preghiera non esiste per conquistare punteggi presso Dio, per tenercelo buono o per evitare che ci mandi qualche castigo o disgrazia. L’oggetto della Passione che utilizzo per la quarta domenica di quaresima sono i trenta denari che Giuda ricevette dai sommi sacerdoti e dagli anziani affinchè consegnasse il Maestro per farlo arrestare e condannare; monete d’argento che l’apostolo, dopo aver tradito ed essersi reso conto del grave errore commesso, riconsegna per poi andare a impiccarsi in quanto tormentato dal rimorso.

Nell’opera intitolata 'Trenta monete d’argento' (1912) del pittore e illustratore inglese John Charles Dollman (1851-1934) si percepisce tutto il dramma del traditore in preda alla disperazione, divorato dal senso di colpa. Ecco che  fissa il sacchetto e le monete riversate a terra senza intravedere via d’uscita dal suo peccato. Giuda non sa riconoscere Gesù per ciò che è: lo tradisce perché se lo immaginava come un rivoluzionario che avrebbe combattuto il potere di Roma e invece resta profondamente deluso quando lo sentirà parlare di amore e di perdono; non capisce chi è quel Maestro anche dopo il tradimento perché se fosse ritornato da Lui avrebbe scoperto che lo amava ancora e invece si uccide in preda alla disperazione e al senso di fallimento. Se Giuda fosse tornato a casa, come il figlio minore, se fosse tornato da Gesù avrebbe scoperto il suo ’amore e il suo perdono sconfinati. Quante volte anche noi non comprendiamo chi sia Dio esattamente come Giuda. Il racconto dei due figli della parabola si traduce nel fuggire da Lui e nell’abbandonarlo oppure nel restare sottomessi vivendo la fede come costrizione e non come gioia di coltivare un’amicizia, una relazione con Qualcuno che ci ama.

Ed ecco allora che il Padre celeste ogni giorno esce verso di noi, esattamente come il padre della parabola che corre incontro al figlio minore di ritorno e che esce per convincere il figlio maggiore a unirsi alla festa. Dio ogni santo giorno esce per venirci incontro e ricordarci qualcosa di fondamentale: siamo e saremo sempre suoi figli amati, dobbiamo solo crederci. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.

Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.

E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it