Davanti a Gesù viene portata una donna che ha commesso adulterio, possiamo supporre la sua età poiché il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo, quando la ragazza aveva circa dodici anni e il maschio diciotto ed era la fase chiamata sposalizio; un anno dopo iniziava la convivenza e questa seconda fase era detta nozze. Se la donna commetteva adulterio nella prima fase veniva lapidata, se era commesso nella seconda fase veniva strozzata. Dunque possiamo dedurre che la donna portata davanti a Gesù era una ragazzina tra i dodici e i tredici anni!
Si tratta di norme assurde che rivelano che la religiosità del tempo aveva del tutto smarrito Dio e di conseguenza la dimensione dell’amore e del perdono divenendo sempre più intrisa di giudizi e vuota di misericordia. Non è un caso che Gesù, prima di rispondere al tranello che gli tendono per metterlo alla prova portandogli l’adultera, si metta a scrivere col dito per terra.
Quel gesto sembra rimandare a un passo biblico, precisamente al capitolo 17, versetto 13 del profeta Geremia: ‘O speranza d'Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore’.
Scribi, farisei e sacerdoti pur ritenendosi religiosi e difensori della fede autentica avevano del tutto perso di vista Dio e di conseguenza il suo amore, trasformando la religiosità in un’accozzaglia di norme, di precetti, di vincoli, smarrendone così il vero volto e il vero senso. Perdendo di vista Dio non sapevano più coglierne la presenza in loro stessi e negli altri, perdendo di vista Dio avevano reso la fede, che dovrebbe essere qualcosa di bello, una realtà opprimente, schiacciante proprio come le pietre che sarebbero state scagliate sulla giovanissima donna se Gesù non avesse pronunciato la celebre frase “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”.
Quegli uomini se ne vanno perché nonostante la loro superbia ammettono di avere dei peccati ma hanno perso di vista un aspetto ancor più importante e cioè che il Signore li abita. Tutti abbiamo i nostri peccati ma allo stesso tempo tutti portiamo impresso in noi stessi il volto di Dio! Per questa ragione Gesù perdona la ragazza, non per superficialità, lassismo o buonismo ma semplicemente perché sa che in ognuno di noi è impresso il volto divino e questo ci rende preziosi sempre anche quando pecchiamo. L’oggetto della Passione che utilizzo per la quinta domenica di quaresima è il velo della Veronica. La tradizione, che si rifà ad alcuni vangeli apocrifi, la indica come una giovane donna che seguì la penosa salita di Gesù con la croce al calvario e che, impietosita, gli asciugò il volto imbrattato di sudore, lacrime e sangue. Su quel telo di lino rimase impresso il volto di Cristo.
Questa storia fu fonte d’ispirazione per molti artisti come nel caso del dipinto 'Santa Veronica con il velo' (1652-1653) conservato presso il County Museum of art di Los Angeles realizzato dall’artista calabrese Mattia Preti (1613-1699) uno dei più importanti e prolifici del ‘600 che si ispirò agli stili di Caravaggio e di Tiziano che seppe coniugare con grande abilità. E’ ritratta la santa che regge in mano il telo sul quale si intravede l’impronta del viso di Cristo.
Aver fede significa credere che in ciascuno di noi e negli altri è impresso il volto di Dio, che niente e nessuno può cancellarlo e che permane anche quando si incorre nel peccato. Come fare a scorgere questo volto? Pregando. La preghiera infatti è metterci faccia a faccia con il volto di Dio per ricordarci che è impresso in noi e che ci guarda sempre con profondo amore e affetto esattamente come deve aver fatto Gesù nel momento in cui si è ritrovato solo e a tu per tu con la giovane ragazza. Tutto ciò ci aiuta a scoprire il vero volto della fede che non esiste per schiacciarci, bensì per farci viaggiare leggeri pur tra le avversità, per rialzarci quando cadiamo, per percepirci preziosi anche quando esperimentiamo le nostre debolezze, per aiutarci a guardare gli altri con occhi diversi. Non compiamo l’errore dei farisei e degli scribi, abbandonare Dio e dimenticarcelo ci fa perdere di vista il suo volto impresso in noi e negli altri e il vero volto della fede.
--------------------------------------------------------------------------------------
Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.
E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.