Aveva 32 anni nel 1954, quando una sua opera che diverrà poi famosissima fu esposta nel padiglione dedicato agli artisti anglosassoni alla 27esima Biennale di Venezia. ‘Hotel Bedroom’ è il titolo del quadro scelto da Lucian Freud, nipote di Sigmund padre della psicanalisi e come lui attentissimo agli sguardi, alle pose, alle mosse, all’espressione umana tutta.
La camera riprodotta dal pittore Freud è di un albergo a Parigi, ma tutta l’atmosfera del dipinto è intrisa di tristezza per un amore finito: la sagoma dell’autore resta in controluce, curva ad osservare la moglie a letto con un’espressione enigmatica.
Uno stile realistico eppure onirico quello di Lucian Freud, cittadino tedesco naturalizzato britannico che dall’esperienza alla Biennale si affermerà negli anni sino a farlo divenire uno dei massimi esponenti della pittura britannica del Ventesimo secolo.
Una visione 'nuda e cruda' in piena purezza quella del nipote di Sigmund Freud e la positiva influenza del nonno si manifesta in una pennellata pastosa e tremolante, che negli anni ha dato vita a personaggi del tutto privi delle maschere che la società ci costringe a indossare in pubblico quotidianamente, raccontandoli nella loro vera natura.
Amici, parenti, compagne, persone quasi sempre coinvolte direttamente nella sua vita sono diventate nel tempo il centro delle sue opere; un realismo algido e talvolta disperato, che arriva a raccontare al meglio la nostra imperfezione.
Molti hanno parlato di Freud come del più grande pittore realista del Novecento, anche per la dichiarata incapacità di inserire nei suoi lavori qualcosa di astratto:
"Non posso mettere nel quadro niente che non sia effettivamente davanti a me", disse una volta.
L’ossessione per raccontare la realtà così com’è, senza orpelli, portava l’artista a ritrarre apposta i suoi modelli in pose innaturali e atteggiamenti scomposti. In un mondo che si scopriva via via sempre più ossessionato dall’inseguimento di una bellezza standardizzata, Freud creava quadri con protagonisti sempre più fuori da ogni stereotipo, a volte anche più brutti dei soggetti reali cui il pittore si ispirava.
La scelta di ritrarre quasi sempre soggetti nudi è un aspetto primario nella visione artistica di Freud che definiva le persone ritratte nei suoi quadri "figure nude coperte di vestiti".
Ed è così; a prescindere dal loro vestiario, tutti i personaggi di Freud appaiono sempre senza filtri, spogliati di qualunque sovrastruttura. Freud voleva che la pittura "fosse carne" ed era quasi ossessionato dal corpo umano e dalle sue piccole imperfezioni, che amava evidenziare anziché occultare.
L’artista scava nel profondo dell’essere umano, fino ad arrivare a comprenderne la reale essenza, cercando una verità che doveva contenere al suo interno un elemento rivelatore. L’intento di Freud era quello di rappresentare l’essere umano nella sua totalità, in modo da farlo conoscere fino in fondo, esteriormente ed interiormente, nelle sue fragilità e nella sua immensa forza.
Una rappresentazione mirabilmente riuscita in ‘Benefits Supervisor Sleeping’, uno dei suoi lavori più apprezzati e di valore.
Protagonista del quadro è una donna nuda e dalla fisicità prorompente, addormentata su un divano sporco e consumato. Le forme generose del soggetto ritratto vengono esaltate dalla pennellata corposa dell’autore, perfette per mettere in risalto la carne flaccida e il volto paffuto ma tranquillo della signora: lo sguardo e la posa rilassata non fanno che evidenziare quanto sia bello apprezzarsi per come si è, senza rincorrere ideali di bellezza irraggiungibili.
A Lucian Freud non interessa ritrarre modelle rispondenti a ideali stereotipati e anche lo sfondo delle sue opere tradisce un disinteresse verso una certa estetica patinata. La maggior parte dei suoi dipinti sono ambientati nel suo studio, un luogo austero imbrattato di colori e senza troppi elementi decorativi, dove anche le suppellettili appaiono lacerate o logorate dal tempo e dall’usura. Parallelamente all’inizio della sua carriera artistica, Freud si era interessato anche alla biologia e aveva osservato con molto interesse il regno animale.
L’influenza di questi studi è facilmente ravvisabile in molti suoi lavori: "Pensavo che grazie all’osservazione diretta avrei potuto creare qualcosa di mio, che non fosse stato già visto o notato in quel modo prima di allora", confessò Freud, e non è un caso che gli animali presenti nei suoi quadri siano spesso ancora più inquietanti del resto degli elementi: un’abilità caratteristica di questo artista è sicuramente quella di riuscire infatti a rendere allo stesso tempo più umane le bestie e più animalesche e bestiali le persone.
L’uomo dei dipinti del pittore naturalizzato inglese si abbandona alla vita, spinto quasi da un istinto primordiale. Egli stesso spiegò: "Sono interessato all’uomo in quanto animale. Parte della mia predisposizione a lavorare sui nudi nasce da questo. Mi piace vedere sempre oltre ed è elettrizzante ammirare certe forme ripetersi attraverso il corpo. Mi piace che le persone appaiano naturali quanto gli animali, proprio come Pluto, il mio cagnolino".
Più volte Freud stesso ricordò come il suo obiettivo ultimo fosse quello di restituire un'immagine delle persone "per come sono"
Questo desiderio era forse influenzato dalla voglia ereditata dal nonno di riflettere sull’inconscio, quella parte non rivelata di noi che lui però riusciva a cogliere e trasportare sulla tela attraverso i corpi. Una tale impresa, testimoniata dall’incredibile verosimiglianza dei soggetti ritratti, era possibile solo grazie alla lentezza esasperante e all’incredibile meticolosità di Freud, che dipingeva a olio durante sedute lunghissime.
Posare per il maestro era sfibrante per chiunque: Freud attendeva volutamente che il modello si stancasse per coglierlo nella maniera più autentica possibile, senza più sovrastrutture: spesso chi doveva essere ritratto finiva per essere così spossato da non riuscire più a nascondere le proprie imperfezioni e la propria autentica natura.
Lo stile di Freud non può essere assimilato all’espressionismo né tantomeno al puro realismo naturalistico: il suo lavoro cerca nei luoghi che conosce meglio nuovi modi per raccontare quei tratti di umanità che l’arte alta ha a lungo ignorato: i suoi dipinti rappresentano la goffaggine, l’errore, la naturale e inevitabile imperfezione umana di cui non bisogna mai vergognarsi.
A cura di Massimo Sacchetti; Finestra sull'Arte