Editoriale - 12 marzo 2023, 08:30

Cercate le buone notizie, sono la vera rivoluzione

Cercate le buone notizie, sono la vera rivoluzione

"Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario". La frase di George Orwell è del 1947 ('La fattoria degli animali'); sembrerebbe scontata 76 anni dopo e invece ancora oggi pochissimi dicono la verità.

Il principio di 'vero o falso' è quello eticamente più importante per ogni giornalista, nel senso che compito di chi scrive i giornali è di dire quello che realmente è accaduto quando racconta un fatto e quello che davvero pensa quando fa opinione. Ma se ci limitiamo a questo, che pure è già tanto, non abbiamo assolto al nostro mandato nel modo migliore possibile. 

Perché per il giornalista esiste un modo di mentire diverso dal dire una cosa non necessariamente vera: non dirla in alcun modo, ometterla.

Quando un giornalista è  a conoscenza di un fatto degno d'interesse pubblico ma non lo (de)scrive non fa altro che mentire ai suoi lettori. Che accada per scelta o per condizionamento esterno, per non turbare la comunità o per mera opportunità personale, tutto sommato poco importa: il fatto è che se lo tiene per sé.

Impossibile dire tutto, non fosse altro per ragioni di tempo, ma lo sforzo per mantenere l'impegno di non mentire ai propri lettori (di non nasconder loro nulla) deve essere il massimo possibile e parte da una selezione accurata e indispensabile delle notizie. E non sempre quelle più importanti, più urgenti, sono anche quelle più 'scomode' o truculente: scrivere buone notizie è bellissimo e non deve essere monopolio degli uffici stampa: raccontare il progressivo superamento della crisi di un'azienda, la buona politica di un'Amministrazione, i gesti di autentica solidarietà, la pace piuttosto che la guerra, oltre ad essere un dovere per ogni giornalista tanto quanto lo svelamento dell'ennesimo scandalo giudiziario, può anche rappresentare un piccolo ma significativo gesto rivoluzionario. Le cose belle sono rivoluzionarie, in un mondo devastato da quelle brutte.

A proposito, qualcuno mi disse un giorno che i giornali non guideranno mai rivoluzioni perché sono imprese economiche, finalizzate al guadagno. Tutto sommato non ci sarebbe nulla di scandaloso in questo, ma non è proprio così.

Si chiama 'quarto potere' non a caso, il mondo dell'informazione. Nel '700 la diffusione di quotidiani e riviste in Europa modificò profondamente le forme di esercizio del potere. I giornali e tutta la produzione libraria dell’epoca contribuirono a promuovere nella popolazione autonomia di giudizio e un forte spirito critico. Nel 1790, in piena Rivoluzione Francese, nacquero Oltralpe 335 testate giornalistiche. Molte scomparvero dopo pochi numeri, ma fu qualcosa di mai visto prima. Una rivoluzione, appunto. 

E non è nemmeno vero che un giornale non può vivere se non è legato al Potere. Un giornale può vivere se fa bene il suo lavoro o almeno ce la mette tutta per farlo. I frutti della nostra professione non si comprano, maturano con l'esperienza e la caparbietà e arrivano sempre se ci si crede. E soprattutto se 'si è' creduti, perché la qualità di un giornale è data dalla sua autorevolezza, che non significa necessariamente la firma prestigiosa di chi vi scrive ma la credibilità dei fatti narrati.

Anche un piccolo giornale di provincia, prendi a caso il nostro ma non solo, può essere autorevole. Se non mente e non nasconde. Una fatica piena di incognite, ma dignitosa e gratificante. 

pa.ga.

SU