Raccolte al Mercato - 08 giugno 2023, 09:00

Ricordando gli 'anni di piombo', l'uccisione del magistrato Francesco Coco

Le Brigate Rosse l'8 giugno 1976 organizzarono un sanguinoso attentato a Genova contro il magistrato e la sua scorta, gli agenti Giovanni Saponara e Antioco Deiana; Francesco Coco e i due poliziotti furono uccisi e l'agguato venne rivendicato anche dai brigatisti detenuti a Torino dove era in corso il processo al cosiddetto 'nucleo storico' dell'organizzazione

PhotoCredit: AssociazioneNazionaleMagistrati

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"Mio padre e i due agenti sono stati il primo obiettivo istituzionale di Stato a essere colpito": Massimo Coco, figlio di Francesco Coco.

Francesco Coco nasce a Terralba il 12 dicembre 1908. E' stato il primo magistrato italiano ad essere assassinato dalle Brigate Rosse durante gli anni di piombo. Procuratore generale presso la corte d'appello di Genova, durante il sequestro del magistrato Mario Sossi nella primavera 1974 da parte delle BR rifiutò la trattativa per la liberazione dell'ostaggio.

Nella sua carriera di magistrato fu giudice istruttore a Nuoro negli anni trenta (in questa veste istruì il processo per l'omicidio di ( Antonia Mesina) e durante la guerra fu, presso la giustizia militare, sostituto procuratore presso il tribunale militare territoriale di Oristano.

Successivamente divenne sostituto procuratore generale della corte d'appello di Cagliari, occupandosi di molti casi di sequestro di persona e banditismo.

In seguito come procuratore della Repubblica di Genova, mantenne la  carica   negli anni sessanta e settanta.

Nel maggio 1974, Coco si oppose al rilascio degli otto detenuti ex-militanti del Gruppo XXII Ottobre per la liberazione del giudice e amico Mario Sossi (sequestrato dalle BR), dopo che la corte d'assise d'appello di Genova aveva dato parere favorevole.

La Corte d'appello, presumibilmente d'accordo con il giudice Francesco Coco, dispose per il rilascio a condizione della "stabilita incolumità del giudice Sossi". Invece, il giudice Coco, una volta verificata la liberazione del collega Sossi, impugnò in Cassazione la decisione di liberazione sostenendo che il Sossi non era esattamente incolume (riportava delle leggere contusioni) e impedì il rilascio dei Brigatisti; con la sottoscrizione del ricorso in cassazione, firmò la sua condanna a morte.

La notte prima di proporre ricorso in Cassazione ricevette la telefonata dell'allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il quale non ebbe neanche l'occasione di sollecitare tale presa di posizione dato che il giudice Francesco Coco immediatamente gli disse: "Farò il mio dovere sino in fondo".

Venne per questo assassinato l'8 giugno 1976 a Genova alle ore 13:30, insieme ai due agenti della scorta (il brigadiere di polizia Giovanni Saponara che camminava al fianco del magistrato e l'appuntato dei carabinieri Antioco Deiana, mentre era in sosta sulla Fiat 132 di servizio, lontano dal luogo dell'attentato), a colpi di rivoltella e mitraglietta Skorpion nei pressi della sua abitazione in Salita Santa Brigida, una traversa della centralissima via Balbi a pochi metri dall'Università degli Studi e dalla stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe.

Il giorno dopo, alcuni militanti delle Brigate Rosse (fra cui Prospero Gallinari e Renato Curcio), durante lo svolgimento di un processo in cui erano imputati, rivendicarono nell'aula torinese l'omicidio del Procuratore Generale, che lasciava moglie e tre figli minori.

L'identità dei responsabili materiali del sanguinoso agguato rimane ancora oggi dubbia. Secondo il brigatista collaborante Patrizio Peci, che riferì presunte confidenze di Raffaele Fiore, peraltro non coinvolto direttamente, avrebbero partecipato tutti i principali clandestini dell'organizzazione: Mario Moretti, Rocco Micaletto, Lauro Azzolini e Franco Bonisoli.

Egli inoltre coinvolse anche Giuliano Naria, che invece in sede giudiziaria è stato assolto e Riccardo Dura, lo sconosciuto membro non ancora dirigente del gruppo.

Purtroppo non si sono raggiunte conferme a questa testimonianza indiretta; altre fonti ritengono ipoteticamente che Dura, morto nell'irruzione di via Fracchia, fosse il capo del nucleo armato che uccise Coco e la scorta.

Decisiva fu invece, a riguardo la deposizione istruttoria, non resa nota, dell'irregolare BR Lorenzo La Paglia, poi uscito dall'organizzazione che parlò della confidenza fattagli dall'amico Dura, dettosi partecipe solo di qualche avvistamento e lasciando intendere di non avere assolutamente preso parte all'azione.

Azzolini, nella logistica dell'organizzazione, nel suo racconto fornito a Giorgio Bocca, pur confermando la sua partecipazione ai preparativi, lascia capire che egli non era presente nel nucleo operativo il giorno dell'agguato.

In basso il video dell'intervista di Giulia Carrarini a Massimo Coco, figlio del magistrato Francesco Coco

Nella photo gallery alcune foto della notizia del suo assasinio pubblicata da alcuni giornali .

"Mio padre è morto da quasi 39 anni e dovete pensare che sono 39 anni che io non conosco il nome dell' assassino"

Questa la dichiarazione di Massimo Coco durante la trasmissione del 12 maggio 2015  'Siamo noi' su tv2000 .

https://www.youtube.com/watch?v=3P070ZEj5Tw 

 

 

red.laprimalinea.it

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