Il ragionamento giuridico alla base della sentenza è certamente corretto e le sentenze, soprattutto quelle emesse dai Supremi Giudici, non si discutono. Ma se la decisione rende giustizia all'imputato, è altrettanto vero che il collegio della Prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Giacomo Rocchi) - che ha emesso la sentenza 1349/23 con la quale ha annullato la confisca dei beni del ristoratore aostano Antonio Raso, operata con decreto di Appello il 20 gennaio 2022 nell'ambito del procedimento Geenna su una presunta 'ndrina in Valle - si è reso protagonista di una vera e propria 'sostituzione di ruolo', e non di un ruolo qualunque.
Ordinando di rinviare in Appello l'ordinanza di confisca per un nuovo giudizio, i Supremi Giudici hanno accertato che non vi è alcuna sproporzione tra i beni posseduti da Raso e i redditi da lui dichiarati e che quegli stessi beni non sono provento illecito legato a presunta attività 'ndranghetistica. Di più, l'acquisizione dei beni "non risulta correlata cronologicamente al giudizio di pericolosità sociale formulato nei confronti di Raso dalla Corte di Appello di Torino".
E nelle motivazioni della loro sentenza scrivono che secondo i giudici di Merito (quelli di Appello) "gli accertamenti contabili eseguiti nel procedimento di prevenzione - svolti dal consulente tecnico del Pubblico ministero Edo Chatel - (...) avevano evidenziato una forte sperequazione reddituale tra le entrate della famiglia Raso-Elia e gli investimenti effettuati, che apparivano ingiustificati alla luce delle risorse economiche di cui disponeva il nucleo familiare prevenuto".
Negli anni dell'inchiesta 'Geenna' e anche dopo, il commercialista valdostano Edo Chatel (foto sopra) era stato amministratore e poi consulente contabile del Casino di St-Vincent e all'epoca era anche indagato in una vasta inchiesta con ipotesi di riciclaggio internazionale e frodi immobiliari. Va assolutamente sottolineato che in seguito Chatel fu prosciolto da ogni accusa e tutte le sue posizioni furono archiviate, ma suona dunque quantomeno bizzarro che il Pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia-Dda Stefano Castellani nel 2019 ne avesse richiesto la specifica consulenza, tanto più alla luce del fatto che due degli arrestati nell'operazione anti-'ndrangheta 'Geenna' erano dipendenti del Casino stesso.
Più avanti, i togati di Cassazione insistono sul fatto che "gli accertamenti contabili svolti dal dottor Chatel, a loro volta, venivano correlati agli esiti delle verifiche investigative condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia di Torino".
Citano poi una terza volta la "consulenza tecnica del dottor Edo Chatel" sostenendo però questa volta che tra le ragioni che valgono l'annullamento del decreto di confisca gli avvocati di Raso ha evidenziato correttamente come i giudici di Appello non abbiano esplicitato "le ragioni che imponevano di ritenere dimostrata, sulla base della consulenza di Edo Chatel, una situazione di sproporzione reddituale legittimante la confisca dei beni" di Antonio Raso
E' evidente i Supremi Giudici fanno confusione: Chatel non può aver indicato una sproporzione di reddito e poi averla negata. Ma c'è un errore anche maggiore, ovvero: Edo Chatel non è mai stato consulente del Pubblico ministero nel procedimento 'Geenna', anche perché era stato invece nominato proprio dagli avvocati difensori di Antonio Raso (Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano): Chatel ha svolto il proprio lavoro con scrupolo e professionalità, ma certamente non in favore delle teorie dell'accusa, bensì strettamente della difesa che sono poi state quelle 'sposate' dai Supremi Giudici. I quali, però, in sentenza motivata non citano mai il nome del consulente del Pubblico ministero della Dda e questo perché, semplicemente, la Dda non si è mai servita di un consulente contabile per definire la confisca a Raso e quindi la Cassazione nelle motivazioni commette due errori di comunicazione: non è Edo Chatel il consulente della Direzione Antimafia (che non ne ha nominato nessuno) e non sono sue le indicazioni, riportate dalla Cassazione, delle quali si sarebbero fatti forza i giudici di Appello.
Va comunque ribadito che l'errore dei Giudici non inficia minimamente la sentenza, che è validissima nel proprio impianto.