La scorsa settimana abbiamo visto Gesù invitare gli apostoli e noi ad essere annunciatori di una bella notizia ed allo stesso tempo portatori di bene e di vita.
Nel brano di Vangelo della XII domenica del tempo ordinario il Maestro sottolinea un aspetto molto reale: la paura che può sorgere ogni qualvolta ci impegniamo per annunciare e creare il bene e la vita. Gesù esorta: “Non abbiate paura!” descrivendo tre situazioni nelle quali tutti possiamo trovarci.
Domenica scorsa sottolineavo l’importanza di essere con il nostro agire e le nostre scelte come un sole che sorge ma a volte rischia di sorgere soltanto la paura, l’ansia e l’angoscia. La prima paura è quando rischiamo di non annunciare il Vangelo per timore di ciò che gli altri possono dire e pensare di noi. Gesù dice: “Non abbiate paura degli uomini”, non abbiate paura di dire cose belle, di portare alle persone il buon messaggio del Vangelo, ce n’è un gran bisogno anche nel nostro presente.
Parliamo di tante cose, spesso anche di fesserie, sui social gira di tutto, occorre allora avere il coraggio di diffondere parole belle che siano di beneficio per l’animo, che non contribuiscano ad inquinarci ed inquietarci ancor di più. In quanto cristiani, abbiamo il coraggio di tirare in ballo le parole di Gesù contenute nel Vangelo per aiutare gli altri ma anche noi stessi a leggere il reale e il presente offrendoci dei punti di vista differenti e non puramente umani e terreni?
Seconda paura è quella di chi ci ostacola e ci mette i bastoni tra le ruote: io cerco di fare bene, di impegnarmi, di donare tempo e risorse e invece mi sento criticare, contestare, c’è chi non coglie le buone intenzioni che mi animano ma anzi pensa che ciò che faccio sia mosso da interessi e protagonismo. Non si possono convincere tutti della bontà delle mie intenzioni ciò che conta è però chiedermi se ci credo davvero in ciò che sto facendo.
Sono convinto che certe persone che a volte sono come dei pungoli al nostro fianco, allo stesso tempo sono un’occasione per costringerci a fermarci, confrontarci e pregare per chiederci: “aldilà delle critiche, io ci credo davvero in quello che sto facendo? Per quale motivo sto portando avanti certe scelte? Da cosa sono animate?”; è un’occasione per andare in profondità, interrogare la coscienza e il nostro animo sapendo con molta onestà che non tutti colgono il bene che noi vediamo e l’obiettivo di fondo che anima le nostre decisioni, spesso occorre spiegarlo, altre volte accettare che comunque ci sarà chi non capirà o non vorrà capire.
La terza paura è quella di farci prendere dallo scoraggiamento, di perdere la stima in noi stessi pensando che anche Dio l’abbia persa nei nostri confronti. Gesù dice: “Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!”.
Spesso ci abbattiamo e rinunciamo ad impegnarci per il bene perché pensiamo di non valere nulla, tanto più di fronte alle sconfitte ed alle amarezze, cadendo così nella tentazione di sottostimarci e questo ci porta a chiuderci in noi stessi, a battere in ritirata ma tutto ciò accade per un motivo ben preciso: l’orgoglio è ferito e ci ripieghiamo per leccarci le ferite.
Noi spesso ci dimentichiamo che indipendentemente dai nostri risultati Dio ci stima perché sa che ognuno di noi ha un valore per il fatto stesso che esiste e poi per le capacità e qualità che possiede e che a volte non sappiamo riconoscere. Il nostro valore non è come quello delle azioni in borsa che salgono o scendono in base all’andamento del mercato.
Spesso fatichiamo a lanciarci nell’essere diffusori di bene perché pensiamo di non valere, non vediamo il buono e il bello che c’è in noi e questo ci frega perché ci convinciamo di non essere in grado di farcela. Gesù ci mette in guardia dalla paura, termine che deriva dal latino “pavere”, battere per terra.
Uomo nudo seduto per terra con una gamba tesa (1646) è un’incisione dell’olandese Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), anche noi a volte rischiamo di essere come il protagonista dell’opera, seduti, a terra perché ci preoccupiamo troppo di ciò che gli altri pensano di noi, perché ci lasciamo scoraggiare da chi non ci apprezza oppure perché ci sottovalutiamo. Spesso cadiamo a terra perché confidiamo troppo e solo in noi stessi senza lasciarci accompagnare, sostenere e rialzare da Dio.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta.
Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte.
Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito.
Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.