Nella solennità della Trasfigurazione il Vangelo proposto dalla liturgia della Chiesa è per l’appunto quello dove si racconta di Gesù che si mostra in tutto il suo splendore rivelando la sua natura divina dinanzi a Pietro, Giacomo e Giovanni. E’ suggestivo leggere la seconda lettura dove è proprio Pietro a narrare quanto hanno vissuto quel giorno, precisando che non si è trattata di un’allucinazione o di una favola. Scrive infatti infatti: Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: “Questi è il Figlio mio, l'amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”. Questa voce noi l'abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.
I tre apostoli hanno vissuto un’esperienza straordinaria e affascinante a tal punto che Pietro nell’entusiasmo che lo caratterizza prende la parola ed esclama: “Signore, è bello per noi essere qui!”. In cosa consiste la bellezza di ciò che vivono? Vedono Gesù nella sua essenza e verità in quanto Figlio di Dio e seconda persona della Trinità.
Allo stesso tempo però di fronte allo splendore di Cristo devono essersi sentiti attraversare da quella luce scoprendosi figli di Dio, amati, preziosi, abitati dalla sua luce.
“Signore, è bello per noi essere qui!”, è quello che dovremmo dire ogni volta che ci mettiamo in preghiera, che apriamo la Parola di Dio per leggerla e meditarla, che andiamo a Messa, che ci ritagliamo uno spazio di silenzio per incontrare il Signore.
E’ bello stare alla presenza di Dio perché è come metterci davanti al sole che ci scalda, ci illumina nel profondo e ci aiuta a percepire che siamo amati e mai soli.
Gli apostoli da lì a poco assisteranno all’arresto, al processo e alla morte di Gesù per questo Egli si trasfigura in tutto il suo splendore per ricordare loro che se anche vedranno comparire all’orizzonte le tenebre del male, del complotto, del tradimento, della sofferenza, del peccato e della morte la sua luce non cesserà di brillare anzi, con la sua risurrezione, splenderà ancor di più.
Quante volte su di noi si affacciano le nubi della paura, della tristezza, dello sconforto, della rabbia, della delusione, del dolore, dei dubbi ma dobbiamo credere che la luce di Cristo che non si eclissa mai, si tratta di trovare il tempo e lo spazio per salire sul monte, in un luogo appartato, staccandoci dalle solite faccende, lontani dalla solita routine per stare alla sua presenza, entrando nella preghiera affrontandola non come fosse una prestazione o uno sforzo personale bensì come se stessimo davanti al sole per abbronzarci. Certamente dobbiamo fare la nostra parte ma occorre essere consapevoli che il grosso del lavoro lo compie Dio.
Lo statunitense Edward Hopper (1882-1967) è uno degli artisti più adatti per aiutarci a sviluppare il tema che ho qui sopra evocato. Le sue opere sono caratterizzate dal silenzio dove l’uomo sembra in attesa di qualcosa, di qualcuno. People in the Sun (gente al sole) è un dipinto del 1960 custodito presso lo Smithsonian American Art Museum di Washington.
Cinque persone, due donne e tre uomini, sono sedute al sole, uno di questi legge un libro. Vi è qualcosa di contraddittorio: sono tutti piuttosto coperti, vestiti in modo elegante.
Siamo noi tutte le volte che ci mettiamo in preghiera ma non sappiamo toglierci gli abiti di dosso, non ci mettiamo comodi, a nostro agio, pensiamo di dover stare anche davanti al sole di Dio indossando i vestiti cioè i ruoli, le maschere o le ansie da prestazione. Spesso siamo davvero assurdi, pur trovando magari il tempo per stare con il Signore non sappiamo farlo con cuore libero, sincero, leggero, mettendoci così come siamo senza imbellettarci, rilassandoci, distaccando lo sguardo da ciò che non ci permette di gustare davvero quel momento.
“Signore, è bello per noi essere qui!”, stare un po’ con Dio, ogni giorno, per qualche minuto ci fa davvero bene lasciandoci avvolgere dal suo calore e la sua luminosità per far luce su ciò che siamo davvero: figli preziosi ed amati.
Quando preghiamo dismettiamo ogni finzione e artificiosità e andiamo da Lui così come siamo.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta.
Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte.
Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito.
Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.