Religio et Fides - 13 agosto 2023, 09:00

Davanti al 'Cristo crocefisso' di Velasquez, 2017

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

Davanti al 'Cristo crocefisso' di Velasquez, 2017

La prima lettura ci mostra il profeta Elia che vive un’esperienza particolarmente intensa: avverte la presenza di Dio non nel vento impetuoso, nel terremoto, nel fuoco ma nel sussurro di una brezza leggera.

Nel brano di Vangelo Gesù, dopo essere stato in mezzo alla gente, si ritira in disparte a pregare: “Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo”.

Noi sappiamo fare questo? Riusciamo ogni tanto, anzi ogni giorno, a congedarci dagli innumerevoli impegni, dallo smartphone, dal caos nel quale siamo costantemente immersi, dalle mille richieste ,pretese ed aspettative degli altri, dai nostri sensi di colpa (perché pensiamo di non essere persone generose e disponibili), dal voler riempire le giornate fino all’inverosimile per ritirarci un attimo in disparte con il Signore? Non potremo forse salire su chissà quale montagna o andare chissà dove ma ci sarà un monte cioè un luogo, a portata di mano,dove posso fermarmi, spegnere e zittire tutto per pregare? Occorre partire dalla realtà nella quale vivo e individuare il posto e il momento più opportuno per connettermi con Dio e non essere raggiunto dagli altri: può essere la mia camera, il mio letto la mattina appena mi sveglio e la sera prima di addormentarmi: va bene anche il bagno se è l’unico luogo dove posso isolarmi, l’auto mentre vado e ritorno dal lavoro, una chiesa che incontro sulla strada, un parco; vi è poi sicuramente la mia chiesa parrocchiale e la Messa. Vero è che qualcuno può pensare che non sia un momento adatto mettersi in disparte perché c’è gente, ci si distrae ma è comunque entrare in un luogo diverso vivendo l’incontro con Dio imparando a pregare anche con altri.

Il mio monte è qualsiasi luogo che mi consente di congedarmi dalle solite faccende quotidiane e stare un momento con Dio. Spesso invece siamo come la barca della scena che Matteo racconta nel brano di Vangelo: agitati, inquieti, concentrati solo su di noi come Pietro quando tenta di camminare sulle acque e affonda perché confida solo in se stesso. Fermarci a pregare serve a ritrovare calma, a non concentraci solo sul nostro io. Spesso però siamo talmente presi da noi stessi che viviamo anche la preghiera con agitazione, ci facciamo prendere dall’ansia da prestazione, crediamo di dover gestire tutto noi e invece Gesù ci dice: “ora ti fermi, fai un bel respiro, chiudi gli occhi, lasciati andare, non pensare a nulla e ti lasci prendere per mano da me perché sono io che guido non tu!”.

La prima cosa da fare allora, ancor prima di iniziare con il segno di croce, è stare in silenzio, zittire i ragionamenti e le parole che mi ruotano dentro senza pensare a nulla: ascolto il silenzio, il battito del cuore, il mio respiro perché la chiave d’accesso all’incontro con il Signore, come ci ricorda il profeta Elia, è proprio il silenzio. Dopo qualche istante posso fare il segno di croce e invocare lo Spirito Santo perché sia Lui a prendermi per mano abbandonando ogni preoccupazione per godermi l’incontro con il Signore. Occorre poi passare a un aspetto fondamentale che sovente ignoriamo: ascoltare cosa Dio ha da dirmi. Lo dovremmo fare anche con le persone e invece troppo spesso pensiamo a ciò che dobbiamo dire noi, sommergendo gli altri con le nostre riflessioni, considerazioni e predicozzi e non permettiamo a chi abbiamo di fronte di rivelarsi e di esprimersi. Si tratta allora di prendere un brano della Bibbia, meglio se una lettura del giorno, e lasciare che quel testo mi raggiunga soffermandomi sulla frase, la parola che più mi ha colpito accantonando tutto il resto, non devo ricordare tutto ma soltanto cogliere l’essenziale di ciò che Dio ha da dirmi. Dovremmo stare davanti a Lui e dinanzi alle persone, così come si sta davanti ad un’opera d’arte, lasciando che parli senza preoccuparci di dover subito esprimere un giudizio.

Vi propongo una foto che ho scattato nel 2017 al Museo del Prado di Madrid mentre uno dei giovani che aveva condiviso con me il cammino di Santiago stava ammirando in silenzio lo splendido Cristo in croce di Velasquez.

Impariamo a stare davanti a Dio senza preoccuparci di nulla, sostando in silenzio, lasciandoci prendere per mano e scopriremo che ci sussurra: “Coraggio, ci sono io, non aver paura”.  

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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