Religio et Fides - 10 settembre 2023, 09:00

'Duchi di Urbino', 1473-1475 - Piero della Francesca

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'Duchi di Urbino', 1473-1475 - Piero della Francesca

Le relazioni sono la parte più bella e significativa della nostra esistenza, sono fonte di grande gioia ma allo stesso tempo causa di profonde fatiche e ferite.

Gesù sta parlando delle relazioni all’interno alla comunità dei discepoli, anche tra loro non era tutto facile perciò consiglia loro come comportarsi, tanto più quando Lui non ci sarà più.

La prima cosa da fare quando si affaccia un problema interpersonale è parlarsi.

Sembra un consiglio banale ma in realtà è ciò che meno facciamo quando siamo in crisi o peggio in conflitto con una persona; vale per gli sposi, genitori e figli, parenti, amici, colleghi di lavoro, confratelli, per ogni ambiente e gruppo.

E’ normale che possano sorgere problemi relazionali non è normale lasciarli sottacere e fermentare perché lievitano e si ingigantiscono a dismisura.

Sembra assurdo ma spesso quando c’è una fatica o un dissidio con qualcuno invece che andare dal diretto interessato andiamo da altri per sparlare di quella persona, per metterla in cattiva luce, altro invece è andare da qualcuno per sfogarci, confrontarci e poi decidere di chiarire le cose.

Tendenzialmente siamo più propensi alla prima opzione. Essere amici, volersi davvero bene significa anche dirsi ciò che non và, chiarirsi, farlo nei tempi e modalità corrette, si comprende che una persona ti voglia davvero bene non solo quando ti fa i complimenti ma anche quando sa dirti che hai sbagliato, che forse hai bisogno di aiuto: immediatamente può anche dare fastidio però poi capisci che ha parlato per il tuo bene e quello della vostra relazione.

Ci sono individui invece che non vedono l’ora di trovarti in fallo, stanno appostati come avvoltoi ad attendere un errore per correre a dirlo ai quattro venti.

Queste persone producono solo danni, portano in giro mine che non sai dove e quando possano esplodere e spesso ne restano loro stesse vittime; spesso si tratta di individui che hanno già talmente tanti problemi in casa che preferiscono mettere in piazza quegli altrui.

Una parola chiave del brano è: guadagnare il fratello.

Quando c’è una ferita in una relazione bisogna riguadagnare quel rapporto, ricostruirlo e salvarlo. Quando c’è qualcosa che non và con qualcuno occorre chiarirsi, parlarsi per riguadagnare il rapporto.

Gesù nel brano ci insegna a provare di tutto pur di riguadagnare una relazione o un’amicizia, ci sospinge a non arrenderci alla delusione, al dolore che viene da quella ferita che l'altro ha causato. C’è un ma da sottolineare: è chiaro che fai di tutto per riguadagnare un rapporto se questo ti sta a cuore, se ci credi ancora, nonostante la scottatura presa. Ha senso perdere quella persona, rompere definitivamente solo perché mi sono sentito ferito? Solo perché l’ho vista sbagliare? Solo perché lui ha effettivamente torto e io ragione? Nessuno è mai del tutto innocente o del tutto colpevole.

Tutto il discorso di Gesù sembra raggiungere l’apice verso la conclusione che è il vertice del brano: “In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”, è come se dicesse: “a che serve tutto ciò che fate se siete divisi tra voi, se vi accoltellate a vicenda, se non sapete perdonarvi e accettarvi per ciò che siete, se non sapete chiarirvi e salvarvi l’un con l’altro?”. Matteo scrive questo testo pensando alle prime comunità cristiane: a cosa servono tante liturgie, parole e slogan se poi tra di noi, tra cristiani ci parliamo dietro invece che parlarci faccia a faccia chiarendoci e perdonandoci, rischiamo di essere ridicoli e poi non stupiamoci perché la gente si defila o si tiene a distanza da certi nostri ambienti.

Come ci insegnano i coniugi Federico da Montefeltro e Battista Sforza, nel doppio ritratto dei duchi di Urbino realizzato da Piero della Francesca (1412-1492) tra il 1473 e il 1475, impariamo a guardarci in faccia, a parlarci, a chiarirci quando c’è qualcosa che non và, solo così possiamo disinnescare le bombe che sono seppellite dentro di noi, frutto di ferite e tensioni relazionali, incomprensioni, malumori e incidenti di percorso che possono capitare a chiunque.  


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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

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don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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