Religio et Fides - 26 novembre 2023, 08:00

'Il figlio perduto e ritrovato', 1985- Jean-Marie Pirot (1926-2018)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'Il figlio perduto e ritrovato', 1985-  Jean-Marie Pirot (1926-2018)

 

 

La solennità di Cristo Re ci rivela in cosa consiste davvero la grandezza di Gesù il quale è re e Signore non perché si faccia servire e riverire ma perché, come ci ricordano la prima lettura e il salmo, lui è pastore, Colui che si prende cura di noi. La vera signorilità di Cristo sta nel suo profondo e immenso amore per l’umanità che lo porta a interessarsi di tutti, camminandoci accanto in ogni circostanza senza mai abbandonarci e in ogni stagione della vita anche attraverso i sacramenti che la Chiesa ci offre; prendendosi cura di noi quando cadiamo nel peccato offrendoci il perdono con il quale ci rialza e standoci vicino anche in ciò che più ci spaventa, la morte, conducendoci alla vita eterna. Dal brano di Vangelo Gesù ci ricorda che anche la nostra grandezza dipende dal prenderci cura, da questo dipende la nostra felicità terrena ed è su questo aspetto che si deciderà ciò che diverremo nell’aldilà, se saremo gioia eterna cioè paradiso oppure solitudine eterna cioè inferno! L’esistenza si gioca sul prenderci cura di due aspetti: del rapporto con Dio e delle relazioni con le persone. La solennità con la quale si conclude il tempo liturgico e che ci traghetta verso uno nuovo con l’inizio dell’avvento, ci chiede di porci qualche domanda: io di chi e di cosa ho cura? Mi interesso della relazione con Dio oppure è del tutto trascurata ed ignorata? Ho cura delle persone che fanno parte della mia esistenza: famiglia, figli, partner, genitori, persone a me affidate e quelle con le quali e per le quali lavoro o che incrocio quotidianamente? Essere davvero dei grandi è non vivere solo per noi stessi, è non prenderci cura solo del nostro io per accorgerci di Dio e del prossimo ed è ciò che contraddistingue una persona matura e adulta da una che non lo è, una felice rispetto ad una triste. La tristezza sgorga spesso dal non sapermi curare del rapporto con Dio illudendomi di non averne bisogno, pensando che ma la cavo da solo e dal non curarmi degli altri perché ripiegato su me stesso, incapace di guardare aldilà del mio ombelico. Sovente quando viviamo un periodo difficile ciò che ci fa più soffrire è la paura di doverlo affrontare da soli. Dio, invece, è al nostro fianco sempre e questo dovrebbe anche essere il nostro stile di vita, imparare a non lasciare sole le persone, interessarci a loro, saperci fare compagni di strada: molte volte non potremo risolvere il problema di quell’individuo ma una cosa possiamo sempre fare ed è stargli accanto, uscire dal nostro guscio e sintonizzarci su ciò che vive. L’attenzione agli altri è una palestra che libera dalla pigrizia, dall’indifferenza, dalla noia, dalla depressione e dall’egoismo. Se non ci alleniamo a prenderci cura delle persone e a permettere a Dio di prendersi cura di noi ci riduciamo a vivere come isole, l’anima diventa rachitica, anchilosata finchè il cuore diventa totalmente insensibile, freddo, non vede e non sente più.

Jean-Marie Pirot (1926-2018) è meglio conosciuto come Arcabas ,soprannome che si inventò durante il ’68, composto dalle parole: Arc-à-bas. L’arco è la spinta verso l’alto, la possibilità di accedere a qualche cosa di superiore; il basso riguarda la dimensione terrena.

Nel suo pseudonimo, dunque, è compreso il tentativo di accedere a qualcosa di superiore partendo dalla materialità e da qui la sua propensione a trattare soggetti inerenti la Bibbia.

Molte delle sue opere sono collocate nella chiesa di Saint-Hugues-de-Chartreuse, tra le quali quella che ho scelto: Il figlio perduto e ritrovato (1985).

L’artista dipinge gli occhi del Padre in modo da renderceli entrambi visibili per sottolineare che il Signore non ci perde mai di vista; alle sue spalle si intravede l’uscio di casa a simboleggiare che aver cura di qualcuno significa uscire da ogni forma di chiusura e di egoismo per chinarci e farci vicini al nostro prossimo e in questo Dio è un campione. Colpisce la figura del cane, anche lui mostra accoglienza e affetto verso quel figlio che torna a casa sgangherato quasi a suggerirci che se gli animali sono capaci di affetto perché non dovremmo riuscirci noi. Anche il figlio però ha fatto la sua parte, si è incamminato per ritornare al Padre, si è inginocchiato ma con le braccia alzate per lasciarsi abbracciare, così anche noi dobbiamo aver cura di instaurare un bel rapporto con Dio fondato sulla fiducia e l’affetto. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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