La prima lettura si apre con queste parole: dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete!”. Si è smarriti quando si perde qualcosa: la serenità, la pace, la gioia, la strada e non si sa quali scelte fare. Si avverte malessere interiore, il cuore non sa dove posarsi. Quando ci troviamo in questa situazione, e può accadere spesso nel corso della vita, non facciamoci prendere dallo sconforto o dalla depressione ma facciamoci coraggio e questo concretamente significa fare lo sforzo di aprirci per non restare in trappola. Ed ecco che giungiamo al brano di Vangelo dove si narra di Gesù che guarisce un sordomuto, una persona incapace di ascoltare e di parlare.
Quando il nostro cuore si smarrisce perdendo serenità e luce? Quando prestiamo ascolto solo a noi stessi e dialoghiamo soltanto con il nostro io in un totale atteggiamento di chiusura. L’unico punto di riferimento siamo noi con i nostri pensieri, ragionamenti, emozioni e così facendo il rischio di perderci è altissimo e in più si aggiunge un ulteriore problema: quando ci sentiamo smarriti commettiamo un errore madornale illudendoci di cavarcela da soli. A un errore se ne aggiunge un altro, ci perdiamo perché in ascolto di noi stessi e crediamo di ritrovare la via cavandocela da soli. Gesù ci indica invece la soluzione, ci suggerisce come fare a non smarrirci e se accade come uscirne, ce lo rivela il verbo che pronuncia quando guarisce il sordomuto: “Apriti!”.
Uno dei peggiori peccati cioè uno degli aspetti che nuoce di più alla nostra felicità e serenità è chiuderci in noi stessi perché così facendo si smarrisce la via e quando questa è persa ci chiudiamo ulteriormente tenendoci tutto dentro, rimuginando notte e giorno sui problemi e le ansie perdendoci anche il sonno; ci si arrovella e ci si attorciglia sempre più mentre la soluzione sta nell’aprirci e in concreto significa innanzitutto ascoltare qualcun altro, fare due chiacchiere con una persona di fiducia, con la quale c’è confidenza, che sappiamo che non ci giudica ma che ci vuole bene per come siamo. Ed ecco che usciamo dalla condizione di sordità e di mutismo.
Ascoltare altri punti di vista, parlare, confrontarci e confidarci è salvifico, ci fa bene, ci salva dall’ascoltare i monologhi infiniti e sterili del nostro io. Ognuno si chieda: io ho almeno una persona con la quale posso sfogarmi, confrontarmi, consigliarmi e aprirmi senza paura e vergogna per dire ciò che mi porto dentro? Questa apertura vale anche nei confronti di Dio, tanto più quando avverto un senso di smarrimento. So andare da Lui per esprimergli modo spontaneo ciò che vivo? Pregare è anche questo. Trovo anche il tempo per ascoltare la sua Parola che è in grado di dare suggerimenti e prospettive per guardare le vicende in modo diverso? Aggiungo anche questo ulteriore aspetto che non va sottovalutato: di tanto in tanto mi regalo una bella confessione? E’ il sacramento con il quale mi apro a Dio e al suo perdono, dove gli affido soprattutto i pesi che gravano nel cuore e nella mente e certamente esporli al sacerdote ha un effetto positivo perché confidare a qualcuno ciò che vivo significa fare la verità su di me, chiamare le cose per nome, disinnescare le tensioni che mi abitano, scoprire che non sono l’unico a vivere certe fatiche. Non potrei confessarmi da solo, a tu per tu con il Signore? Perchè andare dal prete?
Perché esternare con una persona ciò che vivo e che non è lì per giudicarmi è il primo aspetto benefico del sacramento del perdono. Notte a Saint-Cloud (1890) è un dipinto del norvegese Edvard Munch (1863-1944) nel quale si avverte un senso di inquietudine e questo dipende dal fatto che l’uomo e la stanza sono quasi completamente al buio. Quante volte l’esistenza cade nel buio dell’angoscia, ci sentiamo persi, smarriti, disorientati e spenti ma non dobbiamo disperare nè farci prendere dallo sconforto o dalla paura. Si tratta di trovare il coraggio per guardare oltre e scoprire che da qualche parte, accanto a noi, vi è una finestra che ci permette di ritrovare una luce e una direzione. Ritrovi la finestra se inizi ad ascoltare e a parlare aprendoti a qualche persona di fiducia e anche a Dio.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.