Religio et Fides - 06 ottobre 2024, 06:00

Arrivo a Santiago, 2024

Arrivo a Santiago, 2024

I primi capitoli della Genesi, che narrano la Creazione, sono davvero dei capolavori perché attraverso il racconto mitico ci aiutano a capire chi siamo noi e i nostri meccanismi più profondi che valgono per l’uomo di ogni tempo.

In questo senso si comprende davvero che si tratta della Parola di Dio perché nonostante siano stati redatti migliaia di anni fa sono di un’attualità sorprendente in quanto riescono perfettamente  a delineare i tratti costitutivi dell’essere umano evidenziandone le luci e le ombre. 

Il brano proposto come prima lettura, tratto dal secondo capitolo della Genesi e sottolinea una delle nostre caratteristiche più peculiari che è svelata proprio dalle parole con le quali si apre il testo: Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo…”. Ci viene ricordato un punto nodale: nessuno è fatto per vivere solo. La solitudine, come ben sappiamo, non ci fa bene, è contro natura, ci svilisce e ci imbruttisce.Questo non significa che non dobbiamo avere dei momenti per ritagliarci spazi per stare con noi stessi, per riposare, meditare, svagarci e riflettere ma è ben diverso dal chiuderci e ripiegarci trascurando sempre di più i rapporti sociali. Qualcuno potrebbe obiettare: se è vero che non siamo fatti per vivere soli perché la Chiesa non consente a preti e religiosi di avere famiglia? Non basta sposarsi per non essere soli, si può abitare anche in una casa affollata e vivere chiusi nel proprio individualismo ed egoismo. Nessuno è destinato alla solitudine perciò ognuno in base al proprio stato di vita e alle scelte esistenziali e lavorative è chiamato ad aprirsi agli altri, alle relazioni e a prendersi cura di qualcuno perché è lì che si gioca la nostra felicità. Sacerdoti e consacrati non hanno la vocazione alla vita solitaria ma si realizzano relazionandosi innanzitutto con Dio e poi donandosi. alle persone. “Non è bene che l’uomo sia solo”, la solitudine non fa bene a nessuno E’ compito del singolo decidere di aprirsi per uscire dal proprio guscio e da ogni forma di ripiegamento egoistico, non basta essere sposati, avere figli, fare un lavoro in mezzo alla gente per non sentirci soli: occorre impegnarci davvero per costruire relazioni anche se sappiamo bene che a volte costa fatica.

La solitudine è una malattia; osserviamo questo fenomeno sempre più acutizzarsi. Pur vivendo in una società che sovrabbonda di mezzi per comunicare  moltissima gente, di diverse età, soffre di svariate forme di isolamento ed emarginazione. C’è un passaggio della prima lettura che merita sottolineare e chiarire: Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.

La traduzione dall’ebraico non è propriamente corretta anzi rischia di sviare il senso e la bellezza del testo. In realtà la donna non è tratta dalla costola, come se fosse una sorta di appendice dell’uomo, ma dal lato dell’uomo, più precisamente dal fianco. Significa che uomo e donna sono fatti per stare vicini, sono diversi ma chiamati a camminare fianco a fianco. Invece di proporvi un’opera d’arte vi metto una foto, precisamente quella che hanno scattato a me e al compagno di viaggio con il quale questa estate abbiamo fatto il cammino di Santiago lungo la costa portoghese e spagnola.

Tornato da questo stupendo viaggio diverse persone mi hanno chiesto di raccontarglielo ma ho avvertito  come un impedimento: certe esperienze o le vivi o non puoi spiegarle come vorresti.

Confrontandomi con il giovane con il quale ho camminato, ci siamo detti che l’averlo fatto in due è stato bello per diversi aspetti ma in particolare uno : sapere che c’è almeno una persona che conosce esattamente ciò che hai vissuto. Lungo i 300 Km che abbiamo percorso abbiamo incontrato molta gente, soprattutto donne, che avevano deciso di affrontare il cammino in solitaria. Certamente ”in solitaria” possiede il proprio fascino ma fare questa esperienza in due, a nostra avviso, ha un valore in più: cammini fianco a fianco, ti sostieni, ti aspetti, parli, ridi, fai silenzio e soprattutto capisci che le cose   belle vanno condivise. Non siamo fatti per camminare soli. 

--------------------------------------------------------------------------------------

Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

SU