Domenica scorsa ho sottolineato che lo Spirito Santo accende in noi quella gioia profonda che diviene entusiasmo e che nasce dallo scoprire che siamo abitati da Dio e in particolar modo dal suo Santo Spirito, energia vitale, che abbiamo a disposizione per poter affrontare le sfide quotidiane. Il Vangelo della quarta domenica di Avvento, presentandoci l’episodio della visitazione, mette l’accento su Maria ricordandoci che anch’essa ha a che fare con quella gioia che stiamo cercando di approfondire e di conoscere meglio nel tempo che ci prepara al Natale. La Madonna, dopo aver compiuto un lungo percorso, di circa 150 chilometri, giunge da sua cugina Elisabetta la quale, mossa dallo Spirito Santo, esclama a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”.
Mi soffermo in particolare su queste parole: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”, come se intendesse dire: “a cosa devo l’onore di questa visita?”. Proviamo a immaginare cosa può aver mosso Maria nell’andare a trovare sua cugina. Oltretutto l’evangelista Luca specifica che si reca di gran fretta e, quindi, si può dedurre che non abbia consultato né il marito né il padre, (cosa che per quel tempo era inconcepibile per una moglie e una figlia) quasi a sottolineare che era una donna libera, capace di andare oltre le consuetudini e gli schemi sociali. Si dirige da Elisabetta perché probabilmente aveva il desiderio di confidarle quanto le era stato rivelato dall’Angelo nell’Annunciazione, tanto più sapendo che anche sua cugina era straordinariamente incinta grazie alla ‘benedizione’ di Dio. Un altro motivo per cui si reca velocemente da lei è per offrirle un aiuto, in quanto in gravidanza e infine per portarle un po' di sostegno e di conforto in quanto consapevole che nel grembo custodiva una presenza divina.
Gesù deve ancora affacciarsi alla vita terrestre eppure si fa già vicino ad alcune persone: alla famiglia di Zaccaria e di Elisabetta e fa sentire la sua vicinanza attraverso sua Madre. La Madonna è colei che fa da canale affinché suo Figlio possa visitare la nostra esistenza e di conseguenza rivolgerci a lei aiuta a generare in noi gioia.
L’episodio della visitazione riportato dall’evangelista Luca ci richiama a qualcosa di molto bello: noi siamo persone visitate e non ignorate; Dio Padre ci ama di un amore talmente sconfinato che desidera farci percepire la sua presenza e lo fa attraverso la venuta del suo Figlio in mezzo a noi, con la presenza dello Spirito Santo nei nostri cuori ma anche con Maria in quanto Madre dell’umanità che viene a visitarci portando non solo se stessa, ma il suo Figlio, Gesù, per farci sussultare di gioia così come accade a Elisabetta che avverte il sussulto gioioso di Giovanni Battista nel suo grembo.
Come opera vi propongo la Visitazione (1583-1586) realizzata dall’urbinate Federico Barocci (1535-1612). L’inconsueta scelta dell’artista di restare nella sua città natale, pur avendo conosciuto i centri maggiori dell’arte italiana, e in particolare Roma, non gli impedì di diventare un punto di riferimento importante per gli artisti del tempo tanto da essere considerato uno tra i più grandi maestri del ‘500 capace di influenzare la scena artistica europea. Lo si può collocare a metà strada tra Raffaello e Caravaggio in quanto continuatore del Rinascimento e allo stesso tempo antesignano del Barocco. La tela in questione fu commissionata da san Filippo Neri per la chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, dove ancora oggi la si può contemplare. Testimonianze antiche rivelano che il Santo amava spesso sostarvi in preghiera. Del dipinto vi è una copia realizzata dal Barocci presso la Galleria Nazionale delle Marche. Elisabetta che era più anziana di Maria, accoglie la cugina sulle scale, le mani si stringono, gli sguardi si incontrano. Un particolare che desidero evidenziare è il sorriso che si intravede dal volto di Elisabetta e anche da quello della Madonna. L’incontro con Maria, il rivolgerci a lei quotidianamente con la preghiera genera in noi quella gioia che nasce dal percepire che attraverso di lei siamo visitati da Dio che ci viene a trovare in casa per farsi vicino a ciò che stiamo vivendo. E’ una certezza, che ci viene ricordata nel quadro da Zaccaria che si affaccia sulla soglia per vedere cosa sta succedendo ed è la nostra libertà di aprire o meno la porta al Signore che ci viene incontro in tanti modi anche attraverso sua Madre.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.