Nel brano di Vangelo che viene proclamato nella Messa della Notte vediamo che alcuni pastori, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Immaginiamoli immersi nel buio, assaliti ogni tanto da qualche colpo di sonno, erano all’aperto e certamente faceva freddo.
Anche noi a volte siamo così nell’oscurità, assonnati e infreddoliti: nella notte e cioè quando ci sembra che tutto sia negativo, quando vediamo situazioni attorno a noi che ci levano ogni speranza e pensiamo che sia inutile credere in Dio e impegnarsi per il bene; assonnati cioè quando perdiamo l’entusiasmo per ciò che siamo e che facciamo cadendo nella pigrizia, vivendo la quotidianità da trascinati; infreddoliti quando c’è gelo attorno e dentro di noi perché amiamo meno e pensiamo troppo a noi stessi. I pastori oltretutto in quel tempo erano la categoria più disprezzata, lontani dalla società civile. Non ricevevano soldi o altro, vivevano di furti, non avevano diritti ed erano malvisti e non potendo accedere alla sinagoga e tantomeno al tempio per purificarsi, erano l’emblema del peccatore impuro. Per loro non c’era salvezza dunque e non dovevano avere una grande considerazione di loro stessi. Questo accade anche a noi ogni tanto, quando ci sentiamo bassi con il morale e pensiamo di essere senza speranza; ci consideriamo persone di poco valore, sempre a fare i conti con i nostri limiti e le nostre pochezze e di conseguenza crediamo di non essere degni di considerazione da parte di Dio. Ed ecco però che accade qualcosa di inatteso e di stupefacente: un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia…”. In cosa consiste la grande gioia? Nel fatto che Dio è sceso sulla terra, si è fatto uomo, la luce divina che poteva sembrare lontana e distaccata dalle vicende umane compie qualcosa di pazzesco, si avvicina all’umanità e non si limita a questo ma la avvolge con la sua luce. Quei pastori lo scoprono in quella notte e noi oggi possiamo scoprire che Dio ama ogni persona, chiunque essa sia e desidera poterla abbracciare con la sua luce calda per condurla fuori dal buio, dal sonno e dal gelo esistenziali. Una domanda può sorgere in noi e addirittura diventare una seria obiezione soprattutto da parte di chi sta vivendo un momento complicato della propria esistenza. Ultimamente mi è capitato di vedere molte persone vivere il lutto, soffrire per la perdita di un proprio caro, provare tristezza per la grave malattia o il disagio di qualcuno; in tutto questo, affermare che Dio ci ama e che si avvicina a noi per abbracciarci con la sua luce può stridere con l’amarezza della realtà perché in certi momenti e in determinate situazioni pare invece che sia distante se non addirittura assente. Rileggendo più volte il brano del Vangelo ho fatto questa riflessione: Dio facendosi uomo non è entrato nel Tempio di Gerusalemme ritenuto il centro della religiosità ebraica e nemmeno in una sinagoga e tanto meno in una chiesa poiché non ne esistevano ancora ma si è fatto carne, corpo, bambino per poi crescere e diventare ragazzo, adolescente, giovane e adulto. Dio prima di trovarlo in una chiesa o in una liturgia, dove certamente possiamo incontrarlo pregando, innanzitutto lo dovremmo percepire nelle persone e in particolar modo in quelle che ci stanno accanto nei momenti difficili, nella malattia, nel lutto e nella fatica e noi stessi lo rendiamo presente ogni qualvolta sappiamo farci vicini a qualcuno.
I primi passi del 1890 è un quadro di Vincent van Gogh (1853-1890) che si trova nel Metropolitan Museum of Art di New York, lo dipinse sei mesi prima di morire. Sappiamo che l’artista amava ispirarsi al mondo contadino poiché in esso intravedeva una dimensione sacra, oltretutto l’opera si ispira a un quadro del pittore francese Jean-François Millet di cui suo fratello Theo gli aveva spedito una foto. Un bambino sostenuto dalla madre tenta di fare i primi passi per arrivare dal padre che lo attende a braccia aperte. Natale è Dio che muove i suoi passi per venirci incontro e avvolgerci con la sua luce e lo fa innanzitutto nella carne, attraverso tutte quelle persone che ci stanno accanto e che ci abbracciano con la loro vicinanza. E’ prima di tutto con questa modalità che si rende presente e ci dice di essere davvero il Dio con noi. Buon Santo Natale a tutti!
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.