La prima domenica dopo il Natale si celebra la Sacra Famiglia, Maria, Giuseppe e Gesù. Guardare a loro è innanzitutto un invito a posare gli occhi sulle nostre famiglie e chiederci se lasciamo entrare in casa Dio? Se abbiamo allestito il presepe, sostiamo un attimo davanti a esso e chiediamoci: Gesù è solo una statuina da esporre per qualche settimana e da ritirare finite le feste oppure è Qualcuno che fa parte della famiglia? E’ di casa Dio? Stessa cosa anche per il crocifisso: Cristo è solo uno che sta appeso da qualche parte su un muro e che fa arredamento, oppure tra me e Lui c’è una relazione? Cosa significa che in famiglia ci sia un rapporto con il Signore?
Significa che dovremmo imparare a coltivare la relazione con Lui in base alla propria età e porla al primo posto. Qualcuno potrebbe non essere d’accordo e affermare che in primis dovrebbe mettere il marito, la moglie, la compagna, il compagno e i figli. Mettere Dio prima di tutto non significa pregare 24 ore su 24 e nemmeno trascurare le persone che amiamo, bensì avere uno sguardo più ampio e chiaro su ciò che siamo e che viviamo.
Rilevante è la risposta decisa che Gesù rivolge ai genitori che lo cercano: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Non ha affermato: “Per me non valete nulla e non siete importanti” ma mette in luce le priorità. Siete certamente la mia famiglia ma al primo posto c’è la mia relazione con il Padre.
Potremmo pensare che valga solo per Gesù in quanto Figlio di Dio ma vale anche per noi. Metterlo al primo posto migliora la relazione con gli altri che, come ricordavo il giorno di Natale, sono sicuramente preziosi e segno concreto dell’amore e della presenza di Dio, ma devo aver chiaro che una persona, per quanto importante, non è il tutto.
Evidenzio un passaggio importante del Vangelo, quando Maria si rivolge a Gesù dicendogli: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. In realtà la traduzione originale dal greco dovrebbe essere: “Figlio mio”, ancora meglio, “bambino mio!” Maria e Giuseppe in quel momento imparano ciò che ogni genitore ma anche un educatore e così anche un buon amico dovrebbe acquisire: le persone per quanto siano importanti non ti appartengono! Mettere al primo posto Dio ci aiuta a non assolutizzare gli altri, a non farli diventare il tutto perché nessuno può essere caricato di questo peso. Quella persona sarà preziosa e significativa per la mia esistenza ma non può essere il tutto, non posso vivere solo in funzione di essa. Non posso contare solo su di lei perché potrebbe non esserci più, potrebbe allontanarsi, tradirmi, dimenticarmi, perché rimane pur sempre un essere umano con i suoi limiti. Per questa ragione può essere bello pregare in famiglia di tanto in tanto oppure tra coniugi; educare i figli fin da piccoli, per ricordare che nessuno è chiamato a essere Dio e nemmeno deve pretenderlo dagli altri, facilitanto i rapporti tra le mura domestiche. Ancora, pregare, aiuta a guardare con altri occhi i limiti del partner, ci insegna che non abbiamo tutti sotto controllo e che i figli, pur avendo loro trasmesso valori buoni e anche di fede, prenderanno la loro strada, compiranno le loro scelte e non diverranno ciò che noi avevamo progettato.
Ringraziamento è un quadro del pittore e illustratore statunitense Norman Rockwell (1894-1978) che amava ispirarsi a scene e a soggetti della vita quotidiana americana. L’opera in questione ci mostra due nonni in preghiera con il nipote prima di consumare il pasto. Far entrare Dio in famiglia non vuol dire trasformare la casa in un monastero ma avere dei momenti di raccoglimento e creare delle occasioni per ricordarsi di Dio, per rammentare che non tutto dipende dalle nostre forze e dalla nostra volontà, per ringraziare, consapevoli che, coltivare una relazione con Lui ci aiuta a impostare in modo diverso la relazione con gli altri.
A Natale si è aperto il Giubileo e proprio domenica 29 in tutte le diocesi del mondo si celebra l’apertura dell’anno Santo. Si tratta proprio di un’occasione che la Chiesa ci offre per riscoprire un rapporto vivo e personale con quel Gesù che abita nei nostri cuori e che spesso dimentichiamo e che può aiutarci a vivere in modo differente le relazioni quotidiane, innanzitutto quelle famigliari.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.