Religio et Fides - 19 gennaio 2025, 07:00

'Pranzo a Posillipo', 1879 - Giuseppe De Nittis (1846-1884)

'Pranzo a Posillipo', 1879 - Giuseppe De Nittis (1846-1884)

Il primo miracolo di Gesù, che ci racconta l’evangelista Giovanni è la trasformazione di circa seicento litri di acqua in vino durante un matrimonio a Cana di Galilea. Si tratta di un gesto di grande valenza simbolica che pone le premesse al messaggio che annuncerà Gesù con le parole e con i fatti. Il brano comincia così: “Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea”. Il terzo giorno, per l’ebreo del tempo, richiamava il momento dell’alleanza con il quale Dio attraverso Mosè instaurò un’amicizia con il suo popolo; significa perciò che il testo tratta del tema del rapporto tra Dio e l’uomo. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ”Non hanno vino”.

Il vino è simbolo della gioia, non vuol dire che per essere contenti dobbiamo bere a dismisura, ma è una bevanda associata al piacere di stare insieme nella convivialità. Oltretutto nel rito del matrimonio ebraico il momento culminante è quando lo sposo e la sposa bevono da un unico calice il vino che in questo caso rappresenta l’amore. In sintesi la lettura ci induce a riflettere che a volte il nostro rapporto con Dio può essere privo di amore e di gioia esattamente come lo era per molti ebrei praticanti del tempo per i quali la fede era diventata stantia, ridotta ad un’osservanza vuota e sterile di precetti, prescrizioni e rituali. Gesù con quel primo miracolo ribalta completamente la prospettiva e rivela che la fede consiste nell’instaurare un’amicizia con Dio accogliendo e gustando il suo amore che è sovrabbondante come quei seicento litri di vino. Pranzo a Posillipo (1879) è un’opera di Giuseppe De Nittis (1846-1884) il quale, frequentando gli impressionisti a Parigi ha saputo trovare una strada personale per dare vita a una pittura che fosse in grado di raccontare in una luce nuova la vita moderna. L’opera immortala una festosa serata che l’artista trascorse nel 1879 durante il suo soggiorno a Napoli.

Al centro, la moglie, gli altri sono alcuni amici e sulla destra degli uomini suonano e cantano; si mangia, si beve, si chiacchiera, tutto con grande spontaneità. Nella vita vi sono delle relazioni preziose e sono quelle con i nostri amici e tra questi dovrebbe esserci anche Dio, ma l’amicizia può conoscere dei momenti di fatica e l’amore, la gioia e la spontaneità si smarriscono. Quando accade questo? Quando carichiamo la relazione di troppe aspettative, ci misuriamo troppo, ci chiediamo se siamo adeguati, se siamo andati bene, se siamo apprezzati, se siamo sempre al top. In un sano rapporto amicale ciò che conta è essere ciò che siamo, senza dover dimostrare nulla e goderci soltanto quella relazione senza caricarla di ansie, di paure, di attese… dove sappiamo che sei amato per ciò che sei e che non devi dimostrare chissà cosa per mantenere quel rapporto che si deve soltanto coltivarlo e goderlo. Tutto questo vale per ogni autentica amicizia e dovrebbe di conseguenza valere anche con Dio. Il legame con Lui e con i nostri amici si rovina, si annacqua, smarrisce amore e gioia quando vi appicchiamo sopra aspettative, giudizi e quando non sappiamo più accogliere l’altro per ciò che è e per ciò che sta vivendo e in ultimo quando non sappiamo godere con spontaneità quella persona così com’è. Se Dio dovesse relazionarsi con noi soltanto quando siamo a posto e in piena forma praticamente non dovrebbe considerarci mai! Gesù offrendo a quegli sposi e ai loro invitati una quantità pazzesca di vino ci rivela che l’amore di Dio è immenso, inesauribile, c’è da ubriacarsi!

Si tratta solo di accoglierlo nei nostri cuori che devono diventare come dei bicchieri capienti e gustarcelo senza preoccuparci di nulla. Quando preghiamo perciò, quando andiamo a Messa, quando decidiamo di compiere qualche pratica religiosa, non carichiamoci di ansie da prestazione, non sprechiamo energie e tempo per misurarci, non chiediamoci se siamo andati bene ma godiamoci quel momento, gustiamoci il fatto che siamo con Dio non importa se stanchi, distratti, provati o mancanti in qualcosa. E’ esattamente ciò che dovremmo vivere con gli amici: non preoccupiamoci di nulla se non di godere la compagnia così come si gusta e si assapora un buon bicchiere di vino. Il rischio sennò è di essere come quelle persone che quando aprono una bottiglia di vino si preoccupano talmente tanto di dover cogliere tutti i sentori e i retrogusti che alla fine non si godono ciò che stanno bevendo!

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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